Qui Milano – Istruzione e storia del popolo ebraico, il dibattito su “I pochi eletti” coinvolge gli studenti

Quale ruolo per l’istruzione nella storia e nella tradizione ebraica? A discuterne prendendo spunto dal libro “I pochi eletti. Il ruolo dell’istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492” (Egea – Università Bocconi Editore, 2012) è stata l’autrice Maristella Botticini, professoressa di economia alla Bocconi (che firma il volume insieme a Zvi Eckstein dell’Università di Tel Aviv) insieme a coloro che del sistema educativo sono i principali protagonisti, gli studenti e gli insegnanti. Nello specifico i ragazzi del triennio del liceo della Comunità ebraica di Milano e i loro docenti, il professor Mino Chamla e il rabbino capo Alfonso Arbib, in un’assemblea organizzata dalla preside Esterina Dana e dal consigliere comunitario Guido Osimo e moderata dalla direttrice del Bollettino Fiona Diwan.
Grande l’interesse dei ragazzi, che hanno accolto con numerose domande la presentazione della professoressa e degli altri relatori.

Pubblichiamo di seguito l’intervento sul volume di Paolo Sciunnach, anche lui docente della scuola superiore della Comunità.

I pochi eletti. Il ruolo dell’istruzione nella storia degli ebrei, 70-1492

Tesi storiograficamente interessante quella di Botticini e Eckstein, che ha suscitato un vivace dibattito intellettuale. Il testo è sicuramente una combinazione interessante di numerose tesi storiografiche a confronto, un’interpretazione originale e ambiziosa, veramente molto approfondita e ben argomentata.
Nel 70 d.C. gli ebrei erano per la maggior parte contadini analfabeti, residenti in Eretz Yisrael e in Mesopotamia. Nel 1492 erano diventati una piccola popolazione istruita e sparsa in una miriade di centri urbani, da Siviglia in Spagna a Mangalore in India, che si dedicava a mestieri artigianali specializzati, al commercio, al prestito di denaro e alla professione medica. Che cosa determinò questa radicale trasformazione? Il libro offre una risposta innovativa a questa domanda. Contrariamente alle spiegazioni sinora date, gli autori sostengono che questa trasformazione della struttura demografica ed economica non fu innescata da persecuzioni o restrizioni giuridiche contro gli ebrei, quanto piuttosto da un profondo cambiamento avvenuto all’interno dello stesso ebraismo; in particolare, dall’emergere di una nuova esigenza religiosa dopo il 70 d.C. che imponeva a ciascun ebreo di leggere e studiare la Torah e di mandare i propri figli a scuola e in sinagoga dall’età di sei anni. Nei secoli successivi gli ebrei si trovarono a essere istruiti in un mondo di quasi totale. Questo vantaggio rispetto al resto della popolazione li portò a specializzarsi nei mestieri artigianali, nel commercio, e nel settore finanziario, e poi a migrare in cerca di opportunità economiche, creando una diaspora in tutto il mondo.
Come storico trovo questa tesi stimolante ma ancora bisognosa di chiarimenti e approfondimenti atti a dimostrarne effettivamente la validità, soprattutto rispetto alle teorie più classiche. Non è ben chiaro infatti che peso hanno in definitiva fatti storici esogeni (discriminazioni, divieti, persecuzioni, massacri) rispetto a quelli endogeni (segregazione volontaria al fine di salvaguardare l’integrità dei riti religiosi, emigrazione volontaria nelle città allo scopo di preservare l’identità di gruppo). La tesi del testo sembrerebbe sottovalutare i fattori esogeni in favore di quelli endogeni. Ma la questione rimane aperta: la progressiva transizione degli ebrei a occupazioni economiche urbane e specializzate, in definitiva, può essere stata determinata in modo specifico da caratteristiche peculiari del popolo ebraico? Sono propenso a credere che un peso maggiore, in tutto questo lungo cammino, lo abbia avuto proprio una sequenza di eventi determinata, in primis, dalla condizione di minoranza religiosa perseguitata. Per esempio: nel medioevo, agli ebrei era proibito possedere terra; gli ebrei sono stati perseguitati ed espulsi da molti paesi; ai cristiani era proibito prestare denaro a interesse, e agli ebrei fare parte delle corporazioni di artigiani e mercanti. Il cambiamento di atteggiamento rispetto alla problematica del prestito di denaro ad interesse e la discussione a livello rabbinico è prevalentemente frutto di una necessità determinata dalle circostanze o piuttosto mero effetto di una ricerca volontaria degli ebrei di opportunità nel commercio e nel prestito feneratizio, nelle attività bancarie e finanziarie? Segregazione o scelta? Sarei propenso a condividere la risposa di Rashi (1040 – 1105): “Noi ebrei non possiamo mantenerci a meno di fare affari con i gentili, poiché viviamo fra loro”. In questo vedo chiaramente fattori storici esogeni come causa prevalente dello sviluppo del fenomeno del prestito ad interesse verso i gentili all’interno del mondo ebraico.
Come rabbino e insegnante, trovo che questa originale teoria storiografica ha coerenza dal punto di vista tradizionale, se osservata dall’interno, sulla base dei dei valori ebraici: il valore dell’istruzione obbligatoria per tutti. I nostri Maestri, fin dall’epoca del Secondo Tempio, hanno spinto gli ebrei allo studio della Torah accompagnato da un’attività lavorativa sufficientemente redditizia per poter garantire la possibilità di dedicarsi allo studio e all’istruzione per la maggior parte del tempo. Ma è sufficiente questo fattore endogeno a determinare lo sviluppo di due millenni di storia degli ebrei?

Paolo Sciunnach, insegnante

(9 aprile 2013)