maldicenza…
Nell’esposizione di tutti i tipi di impurità derivanti da diverse affezioni della pelle compaiono diversi passaggi oscuri. In particolare, una regola sembra contraria alla logica: una persona affetta da “tzarà‘ath” (in base alla traduzione latina spesso viene considerata lebbra, ma la descrizione non corrisponde alla lebbra che conosciamo) è a priori impura, e ciò è comprensibile; ma se successivamente l’affezione si estende a tutto il corpo, il paziente diventa puro, mentre se permane qualche zona di pelle sana, il paziente è talmente impuro da dover essere messo in quarantena al di fuori dell’abitato. E qui i conti non tornano più: perché mai una persona completamente malata deve poter girare tranquillamente in mezzo agli altri, mentre chi sta discretamente bene deve essere messo al bando? Per rispondere dobbiamo sgombrare la mente dalla nostra abitudine, di origine positivistica, di giustificare le mitzwòth con motivi medici, igienici, dietetici, profilattici o altro. La Torà è un testo che ci vuole insegnare un comportamento ispirato a principi di un’etica superiore, e cercarvi qualcos’altro è solo limitativo o riduttivo. Partendo da questo presupposto, ci accorgiamo che la “tzarà‘ath” compare nella Torà in connessione con la punizione per la maldicenza: ad esempio, Miryàm, sorella di Moshè, per aver parlato contro il fratello, viene colpita per l’appunto da questa affezione. E questo aspetto chiarisce il nostro quesito. La maldicenza è di per sé impura, infetta e contagiosa, perché avvelena chi la fa, chi ne è vittima e chi l’ascolta. Quando una persona vive e prospera di sola maldicenza, però, poco danno può fare, perché il suo difetto diventa manifesto a chiunque. Ben diverso è il caso di chi mescola alla maldicenza dei commenti positivi: l’ipocrita è più pernicioso del maldicente puro, perché si riveste di brani di “pelle sana” tali da scagionarlo dall’accusa di faziosità. Quando l’ipocrita parla male di qualcuno, lo fa mostrando tutti i crismi della credibilità e dell’obiettività. Ecco perché deve essere tenuto al bando. Anche sulle norme che ci sembrano aridamente riservate ad addetti ai lavori, la Torà si dimostra “un albero vivente per chi l’afferra”, secondo la dizione del Salmista.
Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana
(11 aprile 2013)