Lettori reticenti
“… fra noi, in ognuna delle nostre menti, pesava un segreto brutto: lo stesso segreto che ci aveva esposti alla cattura, spegnendo in noi, pochi giorni prima, ogni volontà di resistere, anzi di vivere. Eravamo stati costretti dalla nostra coscienza ad eseguire una condanna, e l’avevamo eseguita, ma ne eravamo usciti distrutti, destituiti, desiderosi che tutto finisse e di finire noi stessi …” (Primo Levi, Il sistema periodico, Oro).
Sono parole fortissime, la cui brevità pare rafforzarne la pregnanza: tralasciando i passaggi che portano dalla condanna eseguita alla cattura, Levi sembra trasformare quest’ultima in una sorta di contrappasso dantesco. Non ho letto il libro di Frediano Sessi (che immagino faccia riferimento al medesimo episodio) di cui parla David Bidussa nel numero di aprile di Pagine ebraiche, e quindi non so come in quel testo il passo di Oro sia citato e commentato; comunque sia, l’articolo di Bidussa mi ha fatto tornare in mente queste poche ma pesantissime righe, che stranamente sembrano sfuggire all’attenzione dei lettori. Oro, che racconta la vita di sette ragazzi ebrei torinesi a Milano, la maturazione politica, la scelta di partecipare alla resistenza, la cattura di Levi e il carcere, è un testo ben noto e citato spesso, in particolare nel mondo ebraico (ricordo addirittura di averlo letto sul giornalino Per noi quando frequentavo le elementari); l’ho fatto leggere spesso ai miei allievi, sia delle medie sia delle superiori, ma non ricordo di aver mai sentito né domande né commenti su queste righe, sulle quali peraltro neppure io mi ero mai soffermata con la dovuta attenzione: il mio sguardo, così come quello dei miei allievi e probabilmente di molti altri, in qualche modo passava oltre quelle parole senza coglierne del tutto la portata.
A volte le reticenze più che nella penna degli scrittori si trovano nell’occhio dei lettori.
Anna Segre, insegnante