Nugae – Fuorisalone

Quando a Milano arriva il Fuorisalone, l’evento parallelo al prestigioso Salone del Mobile, per una settimana la città si riempie di aperitivi gratis, fiumi di turisti curiosi e tappeti di macchine affollano le strade, i negozi si trasformano in musei, e andare all’università diventa un gioco. Perché la sede centrale della Statale, dove sta la facoltà di Lettere, è uno dei vari poli espositivi del Fuorisalone. E così i chiostri seicenteschi si riempiono di installazioni supermoderne, colori esuberanti e incredibili gadget regalati, che rendono le giornate un’allegra scoperta. Così una specie di enorme (e un po’ kitsch) lingua dorata decorata con cotissi, blocchi di vetro residui dei crogioli nelle fornaci veneziane, invade il prato del cortile centrale. Due grandi archi del porticato che sormontano due lunghe scalinate si ricoprono completamente di rossetti dalle confezioni verdi, fucsia, blu elettrico e argento che formano una travolgente onda psichedelica. Studenti in pausa prendono il sole sdraiati su poltroncine dalle forme più assurde. E poi ci s’imbatte nell’imponente installazione progettata da Daniel Libeskind, un’altissima struttura in quarzo, nera con decorazioni in bianco e rosso, che ha la forma di una spirale spigolosa, formata da molti piani geometrici che s’intrecciano a formare varie figure che si sormontano e si penetrano. Ma la cosa più divertente è leggere i panelli esplicativi di tutte queste opere. Uno ad esempio illustra che la struttura architettonica in legno che si affaccia sul chiostro non è solo una semplice capanna dalla forma strana, bensì addirittura “uno spazio ibrido fra interno ed esterno”. Accanto a una specie di cabina illuminata di luce blu da cui esce continuamente del fumo bianco, la didascalia recita invece che si tratta di “un microambiente minimale e surreale di aria purificata, per un viaggio sensoriale in una dimensione antica e incontaminata”. Accidenti, chi l’avrebbe mai detto. È come se tutto fosse pervaso da un alone un po’ mistico, da una profonda ispirazione vagamente magica e trascendente. D’altra parte, meno male che Libeskind si è premurato di scrivere sul pannello della sua opera una spiegazione a tutto questo incanto spiritualistico, perfetta per una profana del design: “L’architettura è un linguaggio capace di raccontare la storia dell’anima”.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
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