parola…
“Il Sacerdote ordinerà di prendere per la persona da purificare due volatili vivi e puri, un ramo di cedro, un filo di lana scarlatta e dell’issopo. Il Sacerdote ordinerà di scannare uno dei o due volatili sopra un recipiente di terracotta pieno di acqua corrente. Il volatile vivo insieme con il ramo di cedro, il filo di lana scarlatta e l’issopo, sarà immerso nel sangue del volatile scannato sull’acqua corrente. Il sacerdote ne aspergerà sulla persona da purificare sette volte…e libererà il volatile vivo”. (Levitico 14:4-7) Secondo Rabbì Chayym Yosef David Azulay, il motivo per cui dovevano essere presi due volatili è perché nella persona ci sono due tipologie di linguaggio: uno proibito e l’altro comandato. L’uso improprio della “lingua” è ovviamente quello proibito, la cui raffigurazione sta nel volatile sacrificato il cui sangue è versato in un recipiente di terracotta che non potrà poi più essere più “kasherizzato”. Tutto ciò simboleggia che se il purificato non si occupa dello studio della Torà avrà il suo spirito infranto come il recipiente di terracotta, mentre se è studioso di Torà, potrà ricomporsi nello studio. Questo è il significato del “maym chayym”, l’acqua di vita che accoglie il sangue del sacrificio e del volatile liberato a “nuova vita”. La parola che è stata strumento negativo può essere nuovamente rinnovata, ma come indicano la presenza del ramo di cedro, il filo di lana scarlatta e l’issopo, ci vuole anche una sana dose di umiltà.
Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
(15 aprile 2013)