Yom HaAtzmaut – La responsabilità degli amici
Questo 65esimo yom ha-Azmaut sembra cadere in un momento alquanto particolare della storia di Israele, che vede il Paese come sospeso in una condizione di calma apparente, in un clima di grande incertezza riguardo al futuro, in un’atmosfera gravida di incognite e pericoli. E’ come in una casa circondata da una bufera di neve, nella quale, al riparo delle mura e al calore del camino, la vita si svolge tranquilla, con i familiari normalmente affaccendati nelle occupazioni quotidiane. Ma fuori sale la tempesta, uscire di casa è pericoloso, e qualcuno, tra i bambini, comincia a dare segni di inquietudine e nervosismo. Reggeranno le porte e le finestre alla furia degli elementi? I genitori si premurano di tranquillizzare i figli piccoli sulla sicurezza della casa, e li invitano a giocare o a fare i compiti, senza preoccupazioni. Ma si capisce che, in fondo, sono allarmati anche loro, anche se preferiscono non darlo a vedere.
Allo stesso modo, nei confini di Israele, la vita scorre tranquilla. La tregua con Hamas, più o meno, regge, e non si registrano significativi scontri di frontiera. Pochi i lanci di missili, rari gli attentati terroristici. Sembra essersi insediato un governo piuttosto stabile, l’economia va bene, la disoccupazione, pur preoccupante, non è certo superiore a quella della media dei Paesi europei. Presente, a tutti i livelli – politica, stampa, opinione pubblica – un grande desiderio di normalità, eloquentemente riflesso dalle tematiche prevalenti nel dibattito elettorale, recentemente concluso, incentrato – come sottolineato dagli osservatori – sui temi sociali ed economici, piuttosto che su quelli della sicurezza e della politica internazionale. Un Paese normale, come tutti.
Fuori, però, non tira affatto una buona aria. I nemici sono sempre più nemici, gli amici appaiono più tiepidi e distratti. Il tasso di giudeofobia, a livello mondiale, sembra crescere di giorno in giorno, così come di giorno in giorno sembrano calare le difese immunitarie delle società democratiche. La parola antifascismo pare completamente scomparsa dal vocabolario, nel quale appaiono invece ampiamente sdoganati i più truci epiteti del turpiloquio squadrista. Di diritti umani non parla più nessuno, molti ragazzi non sanno neanche cosa significhi questa espressione. L’assuefazione dell’opinione pubblica all’idea della violenza come arma della politica è pressoché totale, stragi al di sotto delle venti o trenta vittime non meritano neanche menzione sui giornali. La presenza nei Parlamenti europei di forze xenofobe, razziste e antisemite è considerata del tutto normale, per non parlare del web. I torvi preparativi, da parte degli eredi di una grande civiltà, di un annunciato cataclisma nucleare proseguono, silenziosamente, nell’indifferenza generale.
Che devono fare gli abitanti della casa? Sperare che la tempesta, prima o poi, si plachi? Rafforzare porte e finestre? Uscire e affrontare le intemperie? Chiamare soccorso? Difficile dirlo. Chiarissima, invece, la grande responsabilità che grava, fuori dalla casa, sugli amici – i veri amici – della famiglia assediata.
Francesco Lucrezi, storico
(17 aprile 2013)