In ricordo di Bona Cividalli
Nel 1948, Bona Cividalli è al kibbutz di Manara, estremo nord della Galilea, dove è stata assegnata dalla Haganà fin dall’autunno del ’47. Come i fratelli più grandi, Paola e Piero, resiste e combatte quotidianamente per il futuro di Israele. Lo fa soprattutto lavorando duramente, ogni giorno, talvolta imbracciando il fucile. È una splendida ragazza di vent’anni che deve affrontare la dura prova della guerra, dell’isolamento, dei lutti continui che colpiscono ogni giovane combattente. È convinta fermamente, come le ha insegnato il babbo Gualtiero, che la guerra non sia una scelta, ma una dolorosa, straziante necessità. Il 18 maggio scrive da Manara a casa, a Tel Aviv: “Sono stanca della guerra, babbo, non ho più la forza di leggere le liste dei caduti, di sentire raccontare gli eroismi di tanti giovani. Non torneranno più i giorni belli, sereni, spensierati?” Per Bona e per tanti suoi coetanei in Eretz, la cosa più difficile è alimentare la speranza di poter costruire un Paese diverso, un Paese migliore di quelli da cui, qualche anno prima, loro stessi sono dovuti scappare. In un altro momento di sconforto, il 28 giugno, Bona scrive ancora al babbo: “Non credo nell’aspirazione alla bontà e alla giustizia dell’animo umano in generale, come movente profondo e ultimativo della storia. E anche se esisterà il suo trionfo sarà certo con la venuta del Messia, ed è un futuro troppo lontano perché possa trovare conforto in ciò”. Due mesi dopo, sempre lontana dalla sua famiglia, Bona ha un altro momento di scoramento. Viene a sapere che in Italia è morto l’amato nonno Beppe, ma nel kibbuz di Manara non è facile ottenere conforto per la sua tristezza. Il 3 agosto, infatti, scrive alla mamma a Tel Aviv: “Nessuno è più pronto a pensare alla morte di persone vecchie, quando muoiono tanti giovani”; poi, però, ricordando i fratellini Gabi e Lia, che non hanno mai conosciuto il nonno di Firenze, si consola: “sono sicura che siamo riusciti a inculcare ai piccoli l’amore per il nonno Beppe attraverso i nostri racconti” (citazioni da G. Cividalli “Dal sogno alla realtà. Lettere ai figli combattenti. Israele, 1947-1948”, Giuntina).
Domenica Bona Cividalli si è spenta a Ramat Gan. Pian piano se ne stanno andando tante persone che hanno costruito la nostra Storia, che nel loro eroismo schivo e quotidiano ci hanno trasmesso in eredità un’imperdibile etica della speranza. Possano i racconti di chi ha conosciuto Bona ricordare a tutti che sono proprio le persone come lei che rendono questo mondo pur sempre in guerra, pur sempre in attesa del Messia, un pochino più buono, un pochino più giusto.
Laura Salmon, slavista
(19 aprile 2013)