…presidente

Nelle ore in cui si va eleggendo il nuovo capo dello Stato mi sembra importante portare la riflessione sul rapporto che le comunità ebraiche della diaspora hanno avuto con questa istituzione. Là dove lo Stato era già forte (come nella Francia del secolo XVIII) o un secolo più tardi nel resto dell’Europa in coincidenza con la nascita degli Stati nazionali, la comunità ebraica esprimeva il suo attaccamento e la sua devozione ai sovrani regnanti componendo preghiere speciali per la loro salute e il loro successo, unitamente a quello della nazione di appartenenza. La preghiera era pronunciata in occasioni speciali, ma a partire dall’Ottocento veniva collocata direttamente nei libri di preghiera e veniva recitata il Sabato prima della chiusura dell’Aron haQodesh, all’atto di riporvi il prezioso Sefer Torah appena letto. In questo modo si associava la regalità della Torah alla figura del regnante, in un atto di ossequio che esprimeva la completa fiducia della comunità ebraica verso i sovrani emancipatori. Tuttavia lo Stato e i suoi sovrani non avrebbero corrisposto in maniera benevola a questi eccessi di zelo religioso e in Italia in particolare non esitarono un granché nell’apporre la propria augusta firma alla legislazione razziale. Anche a causa di questo tradimento – credo – nel secondo dopoguerra l’usanza di benedire il sovrano e con lui lo Stato venne sostituita in breve tempo dalla preghiera ancora in uso che si formula per augurare salute e rettitudine ai governanti di Israele. Si tratta di una differenza di prospettiva significativa sulla quale vale la pena di ragionare. Non c’è dubbio che il caricare di significato religioso il rapporto con il sovrano secolare costituisse nel passato una forzatura e una distorsione. E tuttavia era anche il segno di un rapporto “necessario” di alleanza con il potere. Necessario perché una comunità di minoranza aveva bisogno di certezze e doveva a sua volta comunicare certezze a chi il potere lo deteneva. Oggi questo rapporto mi sembra essersi affievolito, vuoi per l’apparire di nuove dinamiche secolari nella storia della civiltà ebraica (la nascita dello Stato d’Israele), vuoi per l’indebolirsi dell’istituzione stessa dello stato nazionale, in particolare per quel che riguarda la realtà italiana. Sia come sia, se si assegna un valore alla preghiera pubblica, credo varrà la pena di reistituire nei prossimi tempi l’antica pratica della benedizione allo Stato e al suo rappresentante in capo: non so se servirà veramente, ma per quel che lo aspetta credo che sarà comunque di buon augurio per le dure prove cui sarà sottoposto nell’immediato futuro.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(19 aprile 2013)