Periscopio – Da Napoli a Napoli
Mentre la città di Napoli, sotto la guida del suo irrefrenabile Sindaco, concede la cittadinanza onoraria a un famoso “asserzionista” (secondo il quale la Shoah avrebbe contato un numero esiguo di vittime, e sarebbe comunque stata una macchinazione dei sionisti, unici veri responsabili dell’accaduto), alcuni napoletani si sono recati in Israele, per partecipare a una significativa manifestazione, organizzata – in occasione della pubblicazione del numero uno della rivista di poesia “Levania” e della traduzione in italiano delle poesie di Tsippy Levin – dalla Hevrat Yehudé Italia e dalla Società Dante Alighieri (Gerusalemme, Rehov Hillel 27), dedicata al tema “Italia e Israele. Incontro nella poesia”.
Nel corso della serata (introdotta da Ariel Viterbo, con un intervento di Cecilia Nizza, una relazione di Ottavio di Grazia, letture di Tsippy Levin e Paola Nasti, e conclusioni del direttore della rivista, Eugenio Lucrezi) i presenti avranno modo di avvicinarsi alle liriche di una poetessa israeliana, Tsippy Levin, molto conosciuta e apprezzata nel suo Paese, di particolare sensibilità e profondità, che riesce, con coraggio e pudore, a cimentarsi nel compito “impossibile” di fare poesia anche sull’inesprimibile esperienza della Shoah. Come scrive la poetessa Paola Nasti – nella sua presentazione della Levin, nel citato numero della rivista – nei suoi versi “poesia e profezia condividono saldi punti di forza: il poeta e il profeta, accomunati dall’essere inviati della Parola, risultano allo stesso modo necessitati in un dire che non riguarda loro stessi come individui, ma come universali concreti. L’appartenenza al linguaggio rende poesia e profezia eventi in cui il particolare dell’esperienza risulta trasfigurato”. Si ripropone quindi, ancora una volta, il doloroso problema, sollevato da Adorno, del senso e della possibilità di fare poesia dopo Auschwitz. E non solo poesia “dopo” Auschwitz, ma, addirittura, “su” Auschwitz. Ma, come è stato detto, quella famosa frase di Adorno, secondo cui tale possibilità sarebbe stata negata per sempre, era già, essa stessa, poesia.
Francesco Lucrezi, storico
(24 aprile 2013)