Qui Ferrara – Riccardo Calimani “Fieri di questa città”

Con un’ampia intervista sul Resto del Carlino, il presidente della Fondazione Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah Riccardo Calimani risponde alle accuse lanciate dal critico d’arte Vittorio Sgarbi sulle pagine del Quotidiano Nazionale il 24 aprile. “Fieri di Ferrara” sottolinea Calimani.
Pubblichiamo di seguito i testi integrali degli articoli.

“Il Museo ebraico e la mia Ferrara ingrata”

Bella e veritiera la riflessione di Paolo Foschini sulla “Festa del libro ebraico in Italia” a Ferrara, e corrispondente al mio stato d’animo: «andare a Ferrara e restarne incantati, oppure esserci cresciuti e volerne scappare: non è un bivio originale, larovincia è spesso fatta così. Però Ferrara con una complicazione in più: tra i capoluoghi emiliani è l’unica città, con la parziale eccezione di Ravenna, a non essere attraversata dalla via Emilia. Deve essere per questo che a volte ha l’aria – e forse la sostanza – di un luogo piuttosto chiuso a contemplare se stesso: a dispetto del suo prestigio culturale, delle mostre, della sua storia. Quasi incarnasse – lei sì, sia perdonato un accostamento che può sembrare ruvido – il paradosso di un ghetto dolce e ipnotico». Io, Ferrarese, non avrei saputo dire di meglio. Ma, chiamato a parlare di questa occasione, ho pensato subito al presidio più notevole, e oggi perduto, della cultura ebraica a Ferrara: Paolo Ravenna, che vedo ricordato per la targa di memoria ebraica sulla colonna di Sorso d’Este davanti alla Cattedrale di Ferrara. Ovviamente non posso che compiacermi di una riappropriazione da parte di Ferrara di una parte così importante della sua storia. Si sa infatti che Ferrara è la sola città dell’Emilia Romagna che ha avuto una presenza ebraica ininterrotta dal Medioevo a oggi. Il primo documento risale a poco dopo l’erezione della Cattedrale, nel 1227, e sotto gli Estensi la considerazione e la condizione degli Ebrei furono molto significative. Notevole è che la strada principale, un canale interrato, via Giovecca, rimandi, nella città libera entro le mura, al toponimo “Zudecha”, antica area di residenza ebraica non coatta: parte vitale dunque della città fuori del ghetto. Fin qui la mia istintiva considerazione positiva, cui si aggiunge il mio personale ruolo, fondamentale (e non riconosciuto) in questa impresa. Sono stato io infatti a volere quella “Fondazione Museo Nazionale dell’ Ebraismo Italiano e della Shoah” come uno dei primi atti – e stupefacente – della mia presenza nel secondo governo Berlusconi come sottosegretario dei Beni Culturali. L’idea nacque da un incontro con l’architetto Fuksas e Alain Elkann che aveva come obiettivo l’edificazione di una bella e simbolica architettura, per la quale cercammo anche un sito oltre le mura con l’allora sindaco di Ferrara, Gaetano Sateriale. La proposta fu a tal punto condivisa da diventare una legge parlamentare, a prima firma Dario Franceschini e, di lì a determinare l’istituzione del Museo. Da allora non ho più avuto né formali né ufficiose notizie di quel Museo, né sono stato mai invitato a nessuna manifestazione. Non me ne stupisco, conoscendo Ferrara, e avendo esperienza assolutamente negativa di una presidente della Provincia che discusse con mc la proposta di un Museo delle opere, molte ferraresi, delle mie collezioni d’arte, per poi incredibilmente rifiutarla Come è accaduto con Bassani, come è accaduto con Antonioni, il cui notevole patrimonio culturale era di gran lunga meno “materialmente” significativo delle opere da me offerte. Niente di male, la città è fatta così. Neghittosa e provinciale. Disponibile all’esotico (come Abbado), ingrata verso i propri cittadini. COSÌ non sono molto convinto, soprattutto senza Paolo Ravenna, del grande risultato di questa Festa del libro ebraico, anche se finalmente posso compiacermi della disponibilità della città ad accogliere la collezione di Gianfranco Moscati, favorito dal fatto di non essere ferrarese. Una collezione di storie, mi pare, quindi prevalentemente immateriale, con lettere, documenti, francobolli, soprattutto a raccontare la persecuzione degli Ebrei. Se infatti posso compiacermi della nascita del Museo, denominato “MEIS”, secondo la moda corrente degli acronimi, mi chiedo, da tempo, a distanza, che cosa vi sia dentro, pensando a come spesso in Italia sia inutile inventare nuovi Musei. Occorre puntualizzare, infatti, che io in origine pensavo piuttosto a un Mausoleo, con valore simbolico ed evocativo, e non a un Museo. Mi pare che questo sia confermato dalle parole reticenti e imbarazzate del Sindaco di Ferrara, Tiziano Tagliani, che non ci rassicura sulla consistenza patrimoniale del Museo, prima dell’arrivo della collezione Moscati: «La mostra non è solo un evento per la città, ma un abbozzo di quella che potrebbe essere l’esperienza del MEIS in Italia, per tenere accesa la fiamma che illumina il Museo». Buone le intenzioni? debole la sostanza, come è tipico di Ferrara. Ora io penso alla bella mostra, curata quasi cinquant’anni, fa dall’Associazione donne ebree d’Italia di Milano, con il contributo di Valeria Antonioli Martelli e Luisa Mortara Ottolenghi: “Manoscritti biblici ebraici decorati”, anche con importanti libri ferraresi, che avrebbe dato consistenza storica e artistica alla Fiera meglio di qualunque dibattito, annullo filatelico, concerti jazz o film.
Non posso quindi far mancare i miei auguri alla manifestazione, ma temo che, piuttosto che al MEIS, sia più utile una visita, non molto lontano da Ferrara, al Museo ebraico Fausto Levi di Soragna, dove, senza feste, si documenta una storia che consiste in architetture e oggetti straordinariamen-te vivi e commoventi. Da ferrarese esule, nei giorni della Festa del libro ebraico suggerisco, dopo la visita alla bellissima Schola tedesca di Ferrara e al cimitero di via delle Vigne, una fuga a Soragna e magari a Modena, nella monumentale Sinagoga dell’emancipazione, che Ferrara ancora attende.

Vittorio Sgarbi, Quotidiano nazionale, 24 aprile 2013


“Caro Sgarbi, fieri di Ferrara”

Presidente Calimani, cosa ne pensa del ‘benvenuto’ che Vittorio Sgarbi ha dato sul nostro giornale alla Festa del libro ebraico in Italia?
Ho letto e conoscendo da tanti anni Vittorio devo dire che sono rimasto stupito perché l’articolo mi sembra frutto di amarezza e non di rabbia. Mi pare che l’obiettivo non sia il Meis quanto piuttosto, del resto lo dice lui stesso, la sua Ferrara che ai suoi occhi sembra essere ingrata. Io non so se sia vero o no, ma mi viene in mente una frase banale: nessuno è profeta in patria.

A quanto pare è venuta in mente anche a Sgarbi, visto che parlando del rifiuto da parte della Provincia della sua collezione d’arte afferma: «Come è accaduto con Bassani, come è accaduto con Antonioni».
Che dire, anche Vittorio sta diventando un po’ più vecchio e quindi non c’è dubbio che il suo modo di vedere le cose non sia più quello di 15-20 anni fa.

La Fondazione Meis l’ha però un po’ snobbato. Lamenta infatti di non essere mai stato invitato ad alcuna manifestazione.
E si sbaglia. Anche perché usare la forza d’urto di Sgarbi è molto importante. Vittorio ha molti contatti e quindi può essere prezioso.

L’avete invitato o no?
Ma tutti sono invitati e i ferraresi sono due volte invitati. Comunque dopo aver letto l’articolo gli ho telefonato per chiedergli se vuole venire alla Festa. Mi ha detto che potrebbe fare un salto domani (oggi per chi legge, ndr) e se arriverà mi farà molto piacere chiacchierare un po’ con lui.

Veniamo al Museo. Su ‘QN’ scrive che lui avrebbe voluto un Mausoleo.
Io penso che non sia più tempo di Mausolei, ma piuttosto di laboratori culturali capaci di offrire un nuovo contributo di idee e di far conoscere la storia degli ebrei italiani e della loro cultura.

Ma del Museo Sgarbi sostiene “di non aver più avuto né formali né ufficiose notizie”.

Innazitutto l’elaborazione del restauro degli edifici di via Piangi-pane non è cosa da poco. Poi, in tempo di crisi economica e di terremoti, è evidente che tutto è più difficile e che il percorso diventa ad ostacoli e i tempi si allungano. Inoltre noi dobbiamo, se pure lentamente, cominciare a raccogliere materiale. A Parigi, con ben altre risorse e con il contributo generoso dello Stato, ci sono voluti 15 anni per la costruzione definitiva del Museo dell’ebraismo francese. Si tenga conto che in Francia gli ebrei sono almeno 20 volte tanto rispetto all’Italia. La Festa del libro ebraico è arrivata alla quarta edizione, ha acquistato grande importanza nel panorama culturale italiano. Quindi possiamo essere ragionevolmente ottimisti se Ferrara, l’Emilia-Romagna e l’Italia ci aiuteranno in questo progetto che potrà diventare di importanza europea.

Sgarbi definisce Ferrara “neghittosa e provinciale”. Un po’ di rammarico per averla scelta come sede del Meis?.
No. Ho trovato a Ferrara entusiasmo, collaboratori di alto livello e anche, naturalmente, difficoltà. Ma delle difficoltà ci siamo sbarazzati e posso a buon diritto dire che ho contagiato tutti con la mia ferma determinazione di arrivare alla costruzione del Museo.

II progetto quindi va avanti?
Secondo le indicazioni di Carla Di Francesco, direttore regionale del Ministero dei beni culturali, a fine 2015 dovrebbero essere terminati i lavori del primo lotto, ovvero del secondo se si considera che è già stata fatta la palazzina. Con questo intervento si darà funzionalità all’ala intermedia del complesso di via Piangipane e si demolirà l’area tra tale ala e la palazzina stessa, con conseguente scavo per impianti e fondamenta. Capisco l’impazienza di Sgarbi, che è anche la mia, ma nell’affrontare questa difficile impresa ho deciso di usare il passo del montanaro: lento, cadenzato e inesorabile nel volere arrivare alla meta.

Isabella Cattania, Il Resto del Carlino, 27 aprile 2013