Tea for two – Hipster

Avrei voluto scrivere del fatto che la ‘povera’ Gwyneth Paltrow è considerata la più odiata e la più bella star dai rotocalchi statunitensi, ma per questa volta passo (ciò non escluderà un ritorno in futuro). Mentre mi grattavo la testa alla ricerca di un argomento per il tea da bere insieme, sono stata assalita da un prurito alle mani. L’ora è giunta. Mi chiedo come mi sia trattenuta fino adesso dal parlare di loro, gli hipsters. Hipster: dicasi uomo barbuto, barboso, intellettualoide, accessoriato di cuffie che spandono musica sperimentale e che sperimentano, intervallando ogni azione con un segno di fatica letto negli occhi stanchi di chi di notte non riesce a dormire perché sta sfogliando un libro di poesie di un uzbeco sconosciuto. Non hanno di norma relazioni che includono fedine o regalini e cambi di status su facebook: “Io ho una compagna nel senso etimologico del termine, colei con la quale condivido il pane” mi sono sentita dire una volta. C’è di certo una matrice jewish in questa onda radical, vista da alcuni come una ispirazione e da altri come piaga sociale. L’hipster odierno nasce e si moltiplica infatti in quel di Brooklyn dove, pedalando sulla sua bici arrugginita con un cestino di vimini che contiene fiori di campo, libri scollati e pane di segale, si confonde con barbe diverse: quelle degli ortodossi. Tanto che in un programma televisivo hanno fatto un quiz: “Riesci a distinguere le due barbe?”. L’hipstermania oramai è dilagata perdendo quindi quella patina radical che la contraddistingueva. Tutti vogliono pedalare mentre ascoltano un cd di Gainsbourg doppiato in giapponese e addentano un banalissimo bagel con salmone affumicato prima di approdare nel loft di un amico fotografo per hobby e filosofo per professione e guardare insieme una maratona di film di Eisenstein. La roccaforte italiana secondo il Sunday Times è Bologna, il Pigneto pasoliniano a Roma cerca invece di poter entrare nella competizione. Chi è l’hipster? Colui che finge di non avere una yiddishe mame e mangia gefilte fish dicendo di esserne appassionato. Crede di dipingere ispirandosi al realismo socialista e pensa di avere un background ebraico che convalidi il proprio status di outsider. Un ebraismo piuttosto personalizzato, un po’ emo (altro genere ggggiovanile per fortuna caduto in disuso). Ma ammettiamolo, anche io vorrei essere hipster (oltre che una radical chic): vivere in una casa con carta da parati mezza scollata, centrini ingialliti, vecchi manuali di botanica. Vorrei andare al festival del cinema israelo-russo di New York insieme al mio compagno di bagel con la barbetta stinta. Probabilmente il nostro primo appuntamento avrebbe luogo in una location suggestiva come una discarica o il retro di un ristorante cinese. Vorrei essere jewster e dire che non c’è niente di meglio di mangiare ciambellette di pesach nel giardino botanico di Brooklyn mentre il cielo scolora e gli scoiattoli si spaventano a causa del mio gilet da yeti in ecopelliccia.

Rachel Silvera, studentessa twitter@RachelSilvera2