Il WJC a Budapest

Spesso i grandi organismi internazionali sono carrozzoni poco efficienti. Non è sempre così, ma le organizzazioni ebraiche non sfuggono alla regola. Le frequento da molti anni, le considero assolutamente indispensabili, ma non posso fare a meno di costatare come la loro funzione si riduca al profluvio di parole, buffet e incontri piacevoli per i delegati da tutto il mondo.
Quando però ci si mettono, le strutture sovra-nazionali hanno inevitabilmente un peso, un impatto e un incisività maggiori e globali. Come ci dimostra il Board del World Jewish Congress, convocato eccezionalmente a Budapest, teatro di un antisemitismo insorgente e preoccupante. Ronald S. Lauder, presidente del Congress, ha mostrato intelligenza politica nella convocazione, ed è stato abile e deciso nell’invitare il premier ungherese Viktor Orbàn, per chiedergli conto delle misure antidemocratiche e discriminatorie adottate dal suo governo. Orbàn si è difeso condannando genericamente antisemitismo e razzismo, guardandosi dal parlare delle scelte assai discutibili del suo esecutivo. Bene in ogni caso che la questione sia stata posta e che un canale di comunicazione stabilito.
Rimane la preoccupazione per quanto sta avvenendo nel cuore dell’Europa, a settanta anni da una delle pagine più terribili della stessa Shoah, la deportazione massiccia e rapidissima degli ebrei ungheresi. La saldatura tra crisi economica e recrudescenza razzista; l’ostilità crescente nei confronti dei rom – messi assai peggio degli ebrei! – che si associa all’antisemitismo tradizionale; la retorica antieuropeista che vede negli ebrei un potere transnazionale e minaccioso; l’indifferenza sostanziale dei vicini nei riguardi di una legislazione sempre più antidemocratica e repressiva. Sono tutte cose che abbiamo già visto. E personalmente sono contrario agli allarmismi. Ma abbiamo la responsabilità di evitare che gli allarmi diventino giustificati.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas Twitter: @tobiazevi

(7 maggio 2013)