Periscopio – Giulio Andreotti

Ho avuto la fortuna di conoscere da vicino Giulio Andreotti in occasione di tre congressi internazionali organizzati dal centro di Studi Ciceroniani (Varsavia 1989, New York 1991, Courmayeur 1995), a cui lo scomparso Senatore, in qualità di Presidente del Centro, ebbe la cortesia di invitarmi, e ne ricordo con nostalgia la grande disponibilità e simpatia umana negli incontri privati (meno condizionati dalla nota aura di mistero e impenetrabilità, non so quanto da lui voluta, legata alla sua persona). Ricordo, in particolare, un colloquio abbastanza lungo che avemmo a Varsavia, a una cena offerta dall’Ambascatore d’Italia, nel quale parlammo della sua recente visita ad Auschwitz, per poi passare all’attualità, e in particolare al conflitto medio-orientale: una conversazione di grande interesse, nel corso della quale mi espose con chiarezza e cortesia quella che era la sua visione del problema.

Nel momento in cui rivolgo un sincero omaggio alla sua persona, ringraziandolo ancora per la fiducia che volle allora accordarmi – io piccolo professorino, lui già leggendario – e ricordandone la vivissima intelligenza, e una dedizione al lavoro davvero fuori dal comune, non posso fare a meno di osservare, con grande rispetto, che le posizioni di politica estera di Andreotti hanno avuto notevoli risvolti negativi, e non hanno affatto avvicinato la pace nel Medio Oriente, da lui certamente e sinceramente desiderata.

Si dice, in genere, che Andreotti sia stato filo-arabo, ma io non sarei d’accordo con tale espressione, così come mi è sempre parsa stucchevole e falsa la contrapposizione tra filo-israeliani e filo-palestinesi. Essere filo-arabo, così come filo-palestinese, e anche filo-israeliano, a mio avviso, non dovrebbe significare difendere questo o quel Paese così com’è, chiunque vi sieda al comando, senza minimamente giudicarne il tipo di regime interno, il livello di democrazia, la tutela dei diritti civili, la condotta pacifica o aggressiva verso l’esterno ecc. Chi era filo-italiano, durante il fascismo? Chi difendeva Mussolini, o chi lottava contro di lui? Ma a questo tipo di discorsi Andreotti si è sempre mostrato molto poco sensibile: nella sua lunghissima militanza come Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e tante alte cose, infatti, la sua unica parola d’ordine è sempre stata una sola: “trattare, parlare, colloquiare, mediare, sorridere”. Sempre, con chiunque, in qualsiasi circostanza, a proposito di qualsiasi cosa. E così, grazie a lui, dittatori, terroristi e delinquenti della peggiore specie non si sono mai visto negare un incontro, una parola buona, una promessa, una stretta di mano. E se lo faceva Andreotti (uomo moderato per definizione, placido, tranquillo, simpatico alle nonne e ai bambini, cattolico devoto, amico intimo, uno per uno, di tutti i papi del Vaticano e di migliaia di prelati), perché non avrebbero dovuto farlo anche gli altri?

Ma, in questo giorno triste, voglio ricordare che gli ebrei italiani espulsi dalla Libia, nel 1970, ottennero rapidamente la cittadinanza soprattutto grazie al suo solerte interessamento; e che fu egli stesso a intervenire personalmente presso il re di Giordania, negli anni ’80, per ottenere il rilascio di alcuni ragazzi israeliani, arrestati per violazione dei confini; e mi piace ricordare, infine, la sua relazione introduttiva presentata al Congresso di Varsavia del 1989, nella quale il suo primo pensiero fu quello di rendere omaggio all’eroica memoria dei resistenti del Ghetto.

Grazie, Senatore.

Francesco Lucrezi, storico

(8 maggio 2013)