Ticketless – Le Alpi in camera da letto

È giusto abbassare gli occhi davanti allo spettacolo magnifico delle Alpi, soltanto perché sui “segreti brutti” dei partigiani ebrei, gli editori sfornano libri al ritmo di uno al mese? Non dobbiamo lasciarci prendere dallo sconforto. Bisogna resistere. Resistere, resistere, resistere. Bisogna alzare gli occhi verso l’arco alpino con orgoglio, ribadendo che i nostri padri non salivano sulle Alpi per poltrire in uno Chalet o flirtare con le ragazze. Proprio Levi ha lasciato pagine sul valore etico dell’alpinismo, che piacquero a Massimo Mila. E d’altra parte perché a Mila, a Venturi, a Chabod e ai partigiani non ebrei non viene mossa l’accusa che oggi si muove ai giovani ebrei giudicandoli colpevoli di aver deciso di resistere al nazifascismo negli stessi luoghi dove trascorrevano le loro vacanze? Perché mai la confidenza con le montagne dovrebbe essere una colpa? In montagna si era soliti andare, fra l’altro, anche per ragioni di studio, come faceva il dialettologo Benvenuto Terracini, di cui ci rimane una testimonianza semi-comica nell’autobiografia del fratello matematico: “A proposito degli studi di mio fratello sul dialetto di Usseglio, vorrei ricordare che per convincere a collaborare alcuni diffidenti montanari, pensava di facilitarli con l’elogio delle mucche che essi conducevano al pascolo, sintetizzato nelle parole ‘Oh, che bele vache!’, talvolta seguite dall’invito rivolto ai montanari ad aprire la bocca e lasciarvi introdurre della plastilina con la quale registrare più esattamente la pronuncia di alcune consonanti, secondo quanto intendeva fare Benvenuto reduce da un corso di fonetica sperimentale tenuto a Parigi dall’abbé Rousselot”. Le Alpi a tal punto entravano nella vita degli ebrei piemontesi da ritrovarsele in camera da letto. Sempre nei “Ricordi di un matematico” (Roma, 1968, pp. 156-157) di Alessandro Terracini, si descrive un gioco diffuso nelle case ebraiche del Novecento. In certi piovosi pomeriggi domenicali la camera dei bambini si trasformava in baita. Dopo avere imbacuccato i figli, zaino in spalla, si consentiva loro di saltare su e giù dai tavoli e dalle poltrone, facilitando la salita in cima all’armadio più alto perché lassù si consumasse, finalmente, il pic-nic.

Alberto Cavaglion

(8 maggio 2013)