Qui Napoli – Diritti degli animali e consumo consapevole
Siamo sicuri che basti accertarsi del “taglio” perchè un animale sia kasher? O forse oggi dobbiamo pretendere di più e batterci perché gli animali di cui ci cibiamo siano quantomeno allevati e macellati attraverso processi “eticamente compatibili” e “come Dio comanda”? Che la kasherut non sia una questione relativa solamente al taglio della giugulare è un fatto forse poco noto. Ma è un dato di fatto che il percorso che porta l’animale al macello presuppone anche esso delle regole per alleviare la sofferenza degli animali. Questa è stata una delle riflessioni più interessanti avanzate durante la presentazione, a Napoli, del numero della Rassegna Mensile di Israel sul tema “Gli animali e la sofferenza. La questione della shechità e i diritti dei viventi” a cura di Laura Quercioli Mincer e Tobia Zevi. La presentazione è stata promossa da Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Comunità ebraica di Napoli, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Associazione di cultura ebraica Hans Jonas, centro Interuniversitario di ricerca bioetica (C.I.R.B.) di Napoli e Istituto Nazionale di Bioetica e si è tenuta alla Sala degli Angeli dell’Università Suor Orsola Benincasa.
I vivaci interventi di Luisella Battaglia, rav Scialom Bahbout, Lorenzo Chieffi, Francesco Lucrezi e Orlando Paciello, moderati da Tobia Zevi, hanno dato luce a un’interessante proposta avanzata dal professor Paciello, veterinario, che ha denunciato lo stato terrificante dei macelli italiani, dove sembra difficile ospitare la macellazione ebraica secondo quelle norme che hanno come finalità proprio l’alleviamento del dolore animale, metodo auspicabile anche per le altre macellazioni. A questo proposito dunque, perché non costruire un “macello virtuoso”, che abbia quelle caratteristiche in grado di garantire una corretta macellazione kasher, dall’inizio alla fine, da condividere anche con chi ebreo non è? E in cosa consiste “un macello virtuoso”? Nel fatto ad esempio di situarsi non troppo lontano dagli allevamenti, così da evitare quei viaggi estenuanti nei carri che portano gli animali alla morte; nel distanziare, attraverso ampi spazi, una macellazione dall’altra, evitando quindi di far vivere agli animali l’orrore della morte dei “propri compagni”; nell’accogliere gli animali, esseri viventi sensibili, entro luoghi che non trasudino di morte, sangue e dolore. Come suggerisce il noto scrittore Jonathan Safran Foer nel suo libro “Se niente importa”, citato da Tobia Zevi più volte, bisognerebbe divenire non tanto dei vegetariani ma, prima di tutto, dei consumatori consapevoli. Di questa consapevolezza è sicuramente portatrice la tradizione ebraica che, tra ideali da perseguire e possibili mète da realizzare in questo mondo, si fa portavoce di un’etica universale da condividere. Sta a noi poterla concretizzare.
Ilana Bahbout, coordinatrice Dec UCEI
(14 maggio 2013)