Nugae – Cliché rosa shocking
Una statua a forma di gigantesca decoltée fucsia di fronte all’ingresso monumentale, piastrelle a scacchiera bianche e color ciclamino in cucina, un corridoio che funge da passerella per sfilare con gli innumerevoli capi che si possono trovare nello sterminato guardaroba. Questa abitazione discreta e modesta esiste davvero, in centro a Berlino, e non può essere altro che la Barbie Dreamhouse. Si tratta di un museo in cui i visitatori possono camminare per davvero fra le stanze lussureggianti della casa di bambole più meravigliosa e kitsch del mondo, quella della signorina Barbara Millicent Roberts, con percorsi interattivi per imparare a preparare finti dolcetti e a sentirsi più bionde. Inaugurata giovedì scorso, l’installazione ha ovviamente scatenato numerose polemiche, contro i cliché che la Barbie rappresenta. Non solo da parte delle femministe in semi deshabillé di Femen, che hanno addirittura messo al rogo una bambola, al grido di “Barbie is not a carreer!”, ma secondo gli attivisti di Pinkstinks si promuoverebbe addirittura “un modello sociale basato sui ruoli della cultura nazista”, in quanto per Barbie, la perfetta reginetta della casa il cui unico compito è sorridere dalla mattina alla sera, ogni porta è aperta solo “perché è bella”. Su Facebook nelle ultime settimane sono state inviate al museo numerose minacce dal gruppo Occupy Dream House, che come modello alternativo per le bambine propone Pippi Calzelunghe. Ora, Pippi è veramente fantastica e sicuramente più educativa, però insomma, palesemente non ha abbastanza glitter. È anche giusto cercare di entrare nella testa di una bambina romantica e un po’ smorfiosa. Come fece nel lontano 1959 Ruth Handler, statunitense figlia di immigrati ebrei polacchi, che creò la prima Barbie dopo aver osservato sua figlia, Barbara, giocare con delle bambole di carta, che si divertiva a vestire con abitini colorati dando loro spesso ruoli da adulti. Così creò una bambola diversa da tutte quelle dell’epoca, che avevano l’aspetto di neonati paffuti, e nacque una giovane spilungona e formosa fashion victim dal costume da bagno zebrato. Il suo successo fu straordinario, e col tempo si crearono anche le versioni più politically correct, di tutte le religioni e dalla pelle di tutti i colori, facendole intraprendere le più disparate carriere (porta il camice da medico con grande stile), altro che a casa a far nulla. Perché la verità è che il rosa shocking può piacere o non piacere, ma quello di Barbie è davvero un mondo in cui tutto può succedere.
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF
(19 maggio 2013)