Qui Torino – “Partigia”: il grande provocatore perde la bussola
Annaspa e perde la bussola, nel corso della presentazione del suo “Partigia” (Mondadori editore) al Salone del libro di Torino, lo storico e grande provocatore Sergio Luzzatto. In una sala gremita per parlare con Gad Lerner del suo libro che tenta di gettare un’ombra sui giorni nella Resistenza di Primo Levi e dei suoi compagni torinesi, Luzzatto ha confermato le sue indubbie doti di ricercatore, ma anche la sua fragilità quando si tratta di conquistare ad ogni costo e con le tecniche più tendenziose la visibilità. Di fronte a un’attitudine che sfiora un delirio di onnipotenza, nessuna critica gli riesce gradita. Tanto meno quelle che ha trovato sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche. In uno dei momenti chiave del grande festival culturale, quando il maggiore gruppo editoriale nazionale ha portato in sala quello che avrebbe dovuto essere il caso della saggistica di quest’anno, è paradossalmente proprio il giornale dell’ebraismo italiano a finire sotto i riflettori dell’attenzione degli oratori e del pubblico.
Dopo aver fabbricato il caso giornalistico attorno al “Pasque di sangue” di Ariel Toaff e aver tentato molte altre volte di accrescere la sua fama con operazioni venate dal gusto della provocazione, Luzzatto non concede alla testata edita dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane nemmeno la libertà di raccogliere testimonianze e di valutare serenamente la sua opera. L’intervista al partigiano Guido Bonfiglioli, compagno di Levi e di Artom e protagonista di quegli anni, ultimo testimone diretto che ha accettato di parlare? Secondo Luzzatto è “morbosa”. Gli elementi che indeboliscono il suo castello di elementi, ombre e accuse nei confronti del gruppo partigiano? Per lo storico né più né meno che una manovra, il tentativo di strumentalizzare un vecchio inconsapevole. Il contenuto del suo saggio? Secondo Luzzatto Pagine Ebraiche ne ha parlato, anche con una documentata stroncatura di Alberto Cavaglion, quando ancora non poteva aver preso visione del libro. L’attenzione che la stampa nazionale ha riservato a quanto pubblicato da Pagine Ebraiche? Per Luzzatto deve essere dipesa da una “joint-venture” fra ebrei e cattolici.
“Si tratta – commenta divertito il direttore della redazione Guido Vitale, che aveva sottoposto il testo di Luzzatto alla revisione di vari esperti ben prima che il libro fosse posto in circolazione – di affermazioni patetiche e farneticanti, prima ancora che offensive. È un peccato che uno storico di grande intelligenza inciampi nei complottismi e nelle dietrologie, tipiche di tutti i deliri antisemiti, solo per difendere un’operazione commerciale che è certo legittima, ma inevitabilmente soggetta al libero giudizio. Se si dovesse scendere su questo piano e utilizzare questi rozzi metri di giudizio, si potrebbe cominciare a precisare che l’operazione di Partigia ha entusiasmato la stampa di destra”.
C’era grandissima attesa per l’incontro-scontro tra due autorevoli intellettuali legati al mondo ebraico. Attesa ma inevitabilmente anche tensione. E quanto affermato da Luzzatto è ulteriore testimonianza della vivace dialettica che Partigia sta suscitando ed è ancora destinato a suscitare. “Congratulazioni, siete riusciti a provocare il grande provocatore”, scherza compiaciuta una signora mentre sfoglia Pagine Ebraiche. Mentre dalla sala rimbalza anche un altro interrogativo: come è mai possibile che secondo Luzzatto la testimonianza di un protagonista e testimone diretto valga meno delle costruzioni a tavolino e a posteriori operate dallo storico?
“Non voglio fare il difensore d’ufficio, ma l’intervista di Pagine Ebraiche – dice Lerner, primo a recensire Partigia assieme a Paolo Mieli – non è soltanto uno scoop in considerazione della proverbiale ritrosia di Bonfiglioli, ma anche un testo denso di informazioni preziose da cui trarre spunto”. Incalzato dal suo interlocutore sui vari punti critici che emergono tra le pagine, Luzzatto si schernisce dalle critiche che gli sono state rivolte in merito a una ricerca che dice di aver compiuto nel pieno rispetto della figura di Levi e del mito fondativo della Resistenza “che sento fortissimo”. Il lavoro di storico, si difende, gli imporrebbe però una particolare sensibilità e prospettiva. “Quando vesto i panni dello storico – afferma – il mio compito è quello di affrontare una questione non come cittadino, padre, insegnante. Ci devo andare come storico e in quanto tale devo raccontare con esattezza quello che ho trovato. Cosa penseremmo di un medico che non ha il coraggio di spiegare a un paziente la severità di una diagnosi?”. Altra accusa cui vuol rispondere il fatto che non si possa fare storia sugli episodi minimi. “È un’affermazione di notevole gravità concettuale. Fatemi tutte le critiche che volete – incalza – ma non venite a dirmi che è futile occuparsi di un dettaglio. Qualcuno deve sentirsi moralmente responsabile di studiare l’appello di Primo Levi. Quel riferimento al segreto brutto non è forse la cosa più grande che ci ha lasciato?”. Parole che non sembrano convincere del tutto la sala. È tempo di chiudere: i due oratori si si salutano cordialmente ponendo fine a un incontro svoltosi nel reciproco rispetto, ma senza alcuna concessione di sorta.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(20 maggio 2013)