Nugae – Rifiuti
e responsabilità

Chiunque sulla bollente spiaggia di Tel Aviv cerchi refrigerio con un bagno, constaterà innanzi tutto di doversi arrendere, perché l’acqua del mare in estate è tiepida (il lato positivo è che non si assiste a patetiche scenette per immergersi). E poi, più tristemente, come intorno a sé galleggino felici e indisturbati, negligentemente abbandonati sulla sabbia dopo l’uso e svolazzati fin lì, sacchetti di plastica, carte di gelato, vecchie riviste. Quelle che alcuni chiamano “delegazioni” del Garbage Patch State. “Qualche anno fa fui colpita dalla notizia di un’isola fatta di rifiuti plastici, galleggiante nell’oceano Pacifico, grande quanto il Texas e profonda 30 metri. Decisi subito di visitarla. Dopo aver fatto una ricerca però mi resi conto che le isole erano in realtà cinque, sparse per tutti gli oceani”, spiega sul sito Maria Cristina Finucci, l’artista ideatrice del progetto. Ammassi giganteschi di quelle sciagurate bottiglie di plastica contro cui porto strenuamente avanti la mia battaglia personale, e poi giocattoli rotti, mozziconi di sigaretta e così sempre più su nella gerarchia delle schifezze. Milioni di tonnellate di rifiuti tossici che ci mettono centinaia di anni a degradarsi, inquinano il mare e fanno male a uccelli e pesci, che li ingeriscono scambiandoli per cibo (1 milione all’anno muoiono soffocati). Ma anche agli uomini, che poi quei pesci se li mangiano. Furbissimi, insomma. Superfici di immondizia così estese che potrebbero veramente formare uno Stato. E con un’installazione-performance, l’11 aprile a Parigi Finucci ha convinto anche l’UNESCO, che ha dato il riconoscimento ufficiale al Garbage Patch State. Un Paese a tutti gli effetti dunque, e come tale merita quest’anno il suo spazio espositivo insieme agli altri alla Biennale di Venezia. L’opera, creata ad hoc e ospitata nella sede centrale dell’Università Ca’ Foscari, consiste in una marea di tappi di plastica colorata, imbrigliati da reti che dal padiglione finiscono nel Canal Grande. Il Garbage Patch State naturalmente è anche dotato di una bandiera, una Costituzione, ministeri che ne gestiscono i confini in continua e vertiginosa espansione e abitanti, tutti immigrati ovviamente, con capacità d’intendere e volere, una lingua ufficiale e una storia. Il suo sito, con vari paragrafi su territorio, economia e cultura, è così fantasiosamente e accuratamente dettagliato che sembra di leggere uno di quei tremendi libri di geografia che si studiavano a scuola ed erano una noia mortale. Così quest’anno mentre passeggeremo sulla Tayelet, ci ricorderemo che non è il caso di dovervi davvero aggiungere un altro capitolo e forse saremo un po’ più responsabili.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
twitter @MatalonF

(2 giugno 2013)