Israele – Gli alberi del dialogo
Si svolge in questi giorni il viaggio in Israele che celebra i 65 anni dello Stato ebraico e i 50 trascorsi dal Concilio Vaticano II, in ricordo del cardinale Carlo Maria Martini. Nato da un’iniziativa di rav Giuseppe Laras, rabbino capo emerito della Comunità ebraica di Milano e protagonista con Martini di importanti pagine del dialogo ebraico-cristiano (nell’immagine i due insieme), la visita coinvolge esponenti del mondo ebraico e del mondo cristiano (tra gli altri il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana rav Elia Richetti, monsignor Gianantonio Borgonovo e monsignor Gino Battaglia, direttore dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza episcopale italiana, la sorella del cardinale Maris Martini). Tra i momenti più significativi, sarà la visita del luogo, presso il lago di Tiberiade, dove sorgerà la foresta del Keren Kayemet dedicata alla memoria di Carlo Maria, in programma lunedì 17 giugno.
Riproponiamo di seguito la riflessione sull’iniziativa del giornalista Stefano Jesurum sul numero di Pagine ebraiche attualmente in distribuzione.
Ma sì – mi sono detto – vorrei esserci anch’io in Galilea quando, vicino a Tiberiade, per iniziativa di rav Giuseppe Laras, verranno piantati i primi alberi di quella che un domani sarà la foresta del Keren Kayemeth Le-Israel in memoria di Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002. Vorrei esserci – e ci sarò – per numerose e secondo me buone ragioni. Perché ho un bellissimo ricordo di alcune tra le molte cose che Martini e Laras organizzarono sulla strada del dialogo ebraico-cristiano e più in generale di un incontro tra mondi laici e religiosi fino ad allora impermeabili: come ai tempi della Cattedra dei non credenti, sempre più frequentata e interrogata da quei cittadini e da quegli intellettuali che cercavano un decisivo cambiamento di rotta nella cultura. Perché ho un bruttissimo ricordo di alcuni disagi e sofferenze di me ragazzino, parole cattive, insinuazioni spiacevoli dei lontani anni scolastici. Quanta strada è stata fatta da allora… e proprio in nome del dialogo ebraico-cristiano. Ovvio, non sono solamente rose e fiori, ancora c’è chi insegna il disprezzo, tutto ciò però accade in ambienti ristretti ed esterni alla dottrina ufficiale della Chiesa. Così questa idea di “viaggiare”, ebrei e cristiani, dal 9 al 18 giugno, mi è parsa una gran bella idea. Anche perché non v’è chi non veda la eccezionale coincidenza con il 65° anniversario dello Stato di Israele e con il 50° del Concilio Vaticano II – che al dialogo ebraico-cristiano diede il via. Si può discutere quanto si vuole, e d’altronde lo si fa, sulla natura profonda del confronto inter-religioso, ovvero sul senso o meno dell’incontro tra i fondamenti delle fedi storiche, i grandi sistemi concettuali. Resta l’utilità, sostenuta anche dai critici, dell’intesa tra religiosi, tra persone. Intesa che andrà allargata ai musulmani, la terza grande fede monoteista. Gli alberi sono segno di vita, di pace, e Israele ha enorme bisogno di pace, di vita. Non soltanto Israele, per la verità. Il Medio Oriente intero, in qualche modo il mondo. E l’Italia di oggi ce lo ricorda con forza. Ecco, nella foresta in memoria del cardinale Martini io voglio vedere una immensa forza simbolica. Contro l’ignoranza diffusa, contro le divisioni e le contrapposizioni, contro i fanatismi, tutti i fanatismi, in favore dell’ascolto reciproco. Il Moked2013 ha infuso ottimismo nella possibilità di convivere meglio all’interno dell’ebraismo: stare insieme tra diversi – e starci bene – è possibile. Ma la strada è lunga, dentro e fuori di noi, la tendenza a non ascoltarsi è viva e vegeta, le paure impazzano e rendono “pazzi” i fobici di ogni sorta. Credo e spero che questo viaggio, ebrei e cristiani, sarà una esplorazione materiale (con accompagnatori come i rabbini Laras e Elia Richetti, i cardinali Francesco Coccopalmerio e Dionigi Tettamanzi) e una esplorazione dell’anima. Un allargamento di orizzonti, nel nome di un patrimonio che Milano ha il dovere di coltivare con orgoglio. Perché, come mi ha detto rav Laras, “dialogo è la parola chiave per capirsi, rispettarsi e arricchirsi a vicenda, rimanendo ciascuno fedele alla propria fede e condividendo la ricchezza insita nella differenza”.
Stefano Jesurum, Pagine Ebraiche, giugno 2013
(13 giugno 2013)