…stella
Scrive Scholem (“La stella di David”, Giuntina) che il “Maghen David” non è né un simbolo ebraico, né dell’ebraismo, ma che lo è diventato quando l’emancipazione induce gli ebrei a darsi un segno che sia utilizzabile come la croce per i cristiani fino a d essere “la stella gialla”, quando negli anni della shoah diviene il timbro imposto per dire chi si è. Un simbolo, scrive alla fine Scholem, che aveva accompagnato gli ebrei nell’abisso e ora provava riportarli verso la luce quando nel 1948 diventa il segno dello Stato di Israele della rinascita. Insomma quel simbolo che tutti noi esponiamo orgogliosamente, che mettiamo dovunque per dire “è ebraico” non sarebbe che un timbro, spesso più imposto, che non scelto. Una “tradizione inventata” direbbe lo storico Eric J. Hobsbawm ovvero qualcosa che “si propone di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitive nelle quali è automaticamente implicita la continuità col passato, ma che non è il passato”.
Forse per i cultori dell’autenticità questa è una notizia poco gradevole. A me pare, da storico, la dimostrazione di una vera vita, di un soggetto che modella se stesso nel proprio tempo e si costruisce un passato (e dunque scarta ciò che non gli aggrada, valorizza ciò che gli serve, sottolinea quello che vuole utilizzare, insomma dà un ordine orientato al proprio passato) e con ciò si dà anche una prospettiva di futuro, a partire dal proprio presente: da ciò che è, da ciò che fa, da ciò che subisce e da come reagisce. La vita, appunto.
David Bidussa, storico sociale delle idee
(16 giugno 2013)