Moshè…
“E Moshè alzò la sua mano e colpi la roccia…” (Numeri 20:11). Per questo atto Moshè non poté entrare in Eretz Israel. La mancata consacrazione di D-o agli occhi del popolo d’Israele, spiega Moshè David Valle (1696-1777), sta nel fatto che la missione divina si espleta non per mezzo del “colpire” ma per mezzo del “parlare”. Non è quindi la semplice confusione di azioni (colpire anziché parlare) ma, seppur involontariamente, l’aver annullato un principio che fin dal “principio” viene tramandato: con la parola D-o ha creato la realtà in cui viviamo e con la parola D-o ridesta ogni cosa del creato affinché metta in pratica la Sua volontà. “E la parola di Moshè è coma la parola di D-o, il servitore del Re è come il Re” (M.D. Valle, Shivtè Yah, 193). E’ anche interessante sottolineare che con la stessa azione, una a proposito e l’altra a sproposito, Moshè entra ed esce nella storia: con un colpo “vayakh et hamitzrì-colpì l’egiziano” gli fu data la responsabilità di guidare i figli d’Israele e con un altro colpo “vaìyakh et hasela’-colpì la roccia”, gli fu tolta. Noi siamo servitori dell’Eterno e come tali abbiamo la responsabilità di parlare e agire in modo appropriato alla nostra missione. Tuttavia, visto che anche Moshè non ha avuto attenuanti nonostante i suoi grandi meriti, la nostra attenzione deve essere maggiormente sviluppata…
Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
(17 giugno 2013)