Non lasciamoli soli

No, non lasciamoli soli. La nostra solidarietà non farà la differenza ma almeno contribuirà ad abbattere il muro dell’indifferenza. Poiché qualsiasi potere autocratico, e quello di Erdogan, il «moderato», è alla fine della fiera tale, si alimenta della violenza di piazza, che istiga facendo un uso pervertito delle forze dell’ordine, ma anche e soprattutto della rassegnazione. Ovvero, della convinzione che nulla possa cambiare, che l’azione collettiva sia sostanzialmente inane e quindi inetta, incapace di trasformare le cose, e che alla rabbia del momento non possa subentrare altro che non sia il riflusso in se stessi, nel proprio silenzio. Fin troppo ovvio, e quindi mai sufficientemente ricordato, che il consenso – parola dai tanti significati, pertanto in sé ambigua – nelle società moderne può tranquillamente coniugarsi con la passività o, addiritura, con la convinzione, alimentata dai soloni e dai cantori di regime, e amplificata dal sistema delle comunicazioni quand’esso è normalizzato, ossia controllato da un’unica centrale, che chi si ribella sia sempre e solo un pericoloso «sovversivo». E che quindi, se non con il randello e la prigione, possa essere neutralizzato da quella forma particolare di repressione che è l’isolamento, che gli deriva dall’essere messo nella condizione di non potere comunicare il suo disagio senza un qualche riscontro. Peraltro, dietro alla violenza di Stato, non ci sono solo gli apparati coercitivi, quelli che vengono scagliati come angeli vendicatori contro i manifestanti, ridotti a plebe tumultuosa dal regime di turno, ma anche e soprattutto solidi assi di potere, composti da quanti – e sono molti – si riconoscono, vuoi per immediato calcolo d’interessi vuoi per acquiescenza, nelle mosse delle autorità, conferendo ad esse la vera legittimità di cui abbisognano. La Turchia di Erdogan ci ricorda, per molti aspetti, l’Iran dell’«onda verde», nel 2009, così come anche alcune cose delle «rivoluzioni arancioni», spesso rifluite nell’irrilevanza. Alla tracotanza della repressione segue, quanti i fari si spengono e le (poche) telecamere spariscono, la vendetta di lungo periodo. Su tutto campeggia la solidità del blocco d’ordine di cui Erdogan, e il suo islamismo falsamente friendly e softly, sono espressione: non una rivoluzione culturale, come finge d’essere, e men che meno una rinascita morale, bensì la restaurazione di un sistema semifeudale di interessi, cristallizzati in un potere che vuole un mandato insindacabile, pronto a conquistarselo con il ricorso alla violenza. Per noi italiani questa cosa dovrebbe dirci qualcosa di più di quanto fingiamo altrimenti di riuscire a capire, indaffarati come siamo a guardare da qualche altra parte.

Claudio Vercelli