Periscopio – I rapporti con il Vaticano e l’ipocrisia
In un articolo apparso sul numero di giugno del mensile Pagine Ebraiche, Sergio Minerbi denuncia – col suo consueto linguaggio franco e diretto – una notevole dose di ipocrisia che caratterizzerebbe l’attuale fase dei rapporti tra Vaticano e Stato d’Israele, che sarebbero concentrati essenzialmente su un dialogo ‘teologico che “non può giungere ad alcuna conclusione”, “certamente non migliora affatto le relazioni politiche”, “è totalmente inutile, se non dannoso, e per definizione non può far avanzare quell’intesa politica che sarebbe necessaria”. Mentre il rabbinato centrale e il governo israeliano sarebbero impegnati in questo dialogo inutile, continuerebbe infatti, a pieno regime, la propaganda ostile a Israele condotta dalle locali autorità ecclesiastiche, che non farebbero altro che delegittimare e criminalizzare, in ogni sede, lo Stato ebraico, assumendo una politica costantemente appiattita sulle posizioni più dure e oltranziste dei rappresentati palestinesi. Una situazione fortemente nociva verso le prospettive di pace e civile convivenza, che porta Minerbi a chiedersi se non sarebbe opportuno che anche Israele, come la Cina popolare, ottenesse dal Vaticano di poter concorrere alla nomina dei suoi rappresentanti in Terra Santa, in modo da poter escludere almeno i membri più apertamente ostili e chiusi al dialogo. Il diplomatico, purtroppo, coglie nel segno. La situazione è proprio quella che ha descritto, basta leggere un qualsiasi bollettino, un qualsiasi comunicato sottoscritto da un qualsiasi rappresentante della Chiesa cattolica in Israele e Palestina per averne prova diretta. La chiesa locale, a qualsiasi livello, si presenta sempre e comunque come il megafono delle rivendicazioni palestinesi, l’eterna accusatrice del protervo e arrogante Stato ebraico, contro il quale c’è sempre un dito puntato. Che fare? L’idea di chiedere un gradimento per la nomina dei vescovi pare, purtroppo, assolutamente impercorribile: ciò che il Vaticano può accettare dalla potente Cina non lo accetterebbe certo dal piccolo Stato ebraico. E immaginiamoci le reazioni da parte araba! Sollevare il problema, ovunque sia possibile, sarebbe però utile, necessario, doveroso.
Quanto al dialogo teologico, non so se sia inutile, o, addirittura, controproducente. Quel che è certo è che appare, oggi, molto comodo e rilassante. E’ un ameno intrattenimento convenire sul fatto che non tutti gli ebrei hanno ucciso Gesù, che restano figli prediletti di Dio, che Gesù era ebreo, che non sappiamo cosa accadrà alla fine dei tempi ecc. ecc. Certo, farlo qualche secolo fa non sarebbe stato altrettanto facile, ma oggi si può. Molto più scomodo, molto più impervio, molto più difficile parlare, oggi, del diritto di Israele a vivere in pace sulla sua terra, possibilmente senza essere, ogni giorno, accusato di ogni possibile nefandezza. Questo è, oggi, l’argomento scomodo. E, tra una strada comoda e una scomoda, è comprensibile che, anche inconsapevolmente, si tenda a scegliere la prima.
Francesco Lucrezi, storico
(19 giugno 2013)