La crisi e i privilegi

Si dice spesso che per uscire dalla crisi c’è bisogno di maggiore solidarietà. In parte è vero; ci si aspetta che chi ha di più dia un po’ di più. Ma è vero solo in parte, o quantomeno non lo è se si vive in uno Stato come il nostro dove la tassazione reprime ogni forma d’imprenditorialità e dove si finisce a lavorare per più per metà dell’anno per l’erario che non per le proprie soddisfazioni personali. Oggi però, va di moda dire che la causa di questa crisi è la forbice che c’è tra ricchi e poveri. La verità in realtà è leggermente diversa. Il problema non è se esistono persone molto ricche, ma se a quelle persone che ricche non sono non è data la possibilità di modificare la propria situazione. Pertanto alzare le tasse alle classi più agiate è una finta soluzione che non risolve il problema alla radice. Ciò che va colpito sono invece i privilegi, pubblici e privati. Quei fattori che impediscono la concorrenza in alcuni settori dell’economia e che finiscono per creare una ricchezza ingiusta a danno di coloro che non godono di benefici di questo tipo e che non possono così competere nel mercato. Questo però non conviene né alla politica che spesso è collusa con questi interessi, né tantomeno a coloro che di questi privilegi ne godono, che provano con la loro ricchezza ad impedire una regolamentazione di diverso tipo. Un circolo vizioso che finisce per gravare soprattutto sulle nuove generazioni; quelle che non vogliono sussidi di disoccupazione o una paghetta dallo Stato, ma solo delle opportunità per dimostrare quanto valgono e che per farlo scelgono di andare all’estero a trovare una speranza che questo paese sembra volergli continuare a negare.

Daniel Funaro

(20 giugno 2013)