preoccupazioni…
Con un brevissimo annuncio in tre versi Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ comunica a Moshè la sua prossima morte, ordinandogli di salire sul monte ‘Avarìm e spingere di là lo sguardo verso la Terra Promessa, nella quale, come già sapeva, non avrebbe potuto entrare a causa della colpa commessa a Merivà. E poiché si avvicina l’ora di lasciare il popolo, il profeta si preoccupa del suo successore e della difficoltà di sceglierlo. Perciò si rivolge a D.o, che sa scrutare le anime e valutare le capacità, perché scelga uno che sappia guidare le sorti del popolo nella buona e nella cattiva sorte. La scelta cade su Yehoshùa‘, cresciuto all’ombra di Moshè, che dovrà essere da lui stesso investito coram populo, e sul quale Moshè trasferirà le prerogative, la dignità, l’autorità di cui aveva goduto fino a quel momento. Il trapasso dei poteri avviene ipso facto nei modi prescritti. Di questo solenne momento, però, la Torà fa un racconto semplice e laconico, come se si trattasse di una cosa assolutamente naturale e ordinaria.
È totalmente assente dall’Ebraismo l’apoteosi della creatura umana, il culto della personalità qual era in uso nell’antico Egitto e fino ad oggi. Moshè, con tutta la sua immensa grandezza, non è che un uomo che cede la sua carica ad un altro uomo. Non ci sono discorsi, cerimonie, pergamene, medaglie, onorificenze nell’ora in cui il grande condottiero scende dal piedistallo. L’unica concessione è il permettergli di vedere da lontano la meta sospirata e per lui irraggiungibile. Non c’è alcun elogio per il suo faticato ed amoroso servizio di tanti anni: invece dell’abusata apoteosi, viene ricordata la sua colpa. I nostri Maestri affermano che il suo pensiero era, in quel momento, rivolto al suo popolo. Rashì dice: “I giusti, quando si congedano dal mondo, non pensano a se stessi, ma si preoccupano dei bisogni della collettività”. Questo è un monito che dobbiamo tenere presente, se vogliamo che l’Ebraismo si mantenga: ognuno di noi deve preoccuparsi dei bisogni del popolo ebraico, in ogni luogo, e specialmente lo deve fare chi ha un qualsivoglia ruolo nel bene pubblico del nostro popolo e delle nostre Comunità.
Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana