Investire, crescere, progettare
Parliamo degli F35. Si discute in Italia se sia giusto acquistare novanta cacciabombardieri costosissimi a un prezzo complessivo che varia tra i 15 e i 45 miliardi (con la manutenzione). Il compromesso trovato dalla maggioranza parlamentare – che rimanda qualunque decisione alla valutazione del Parlamento – pare più che altro rinviare, poiché non viene modificato l’accordo tra paesi e il programma industriale prosegue. Non mi definisco pacifista in senso stretto, ma la prima tentazione sarebbe quella di gridare allo scandalo.
Come si possono spendere tutti questi soldi mentre la gente non trova lavoro, non ci sono risorse per gli edifici scolastici e per le galere, le aziende chiudono e i giovani emigrano? Il bilancio dello Stato è una coperta corta che tutti tirano, e capitoli fondamentali della spesa pubblica – la sanità e il sociale – vengono dolorosamente tagliati. Che se ne fa dei caccia l’Italia, un paese che ripone la sua reputazione più nelle missioni di pace che nella potenza militare? Mentre nel mondo le spese militari crescono continuamente a scapito del cibo per milioni di persone…
Posto in questi termini, l’acquisto degli F35 è un’assurdità pura e semplice. Ma non è così facile. L’operazione F35 non si esaurisce nell’acquisto, perché l’Italia è partner di tutto il processo industriale. Partecipa a un progetto di ricerca e sviluppo tecnologico. Il nostro paese ha enorme bisogno di investire nella tecnologia avanzata se vuole competere nel mondo globale, e tutto il pianeta ha bisogno di progredire scientificamente se vuole affrontare sfide epocali come la sovrappopolazione, il surriscaldamento, l’inquinamento, l’approvvigionamento e la sicurezza alimentare.
Lo sviluppo tecnologico non va confuso con l’ideologia della crescita. Molti dei nostri problemi derivano da uno sviluppo tutto quantitativo (cemento, velocità, inquinamento) e non progettuale. Ma la tecnologia è determinante per migliorare la vita delle persone. E buona parte delle scoperte scientifiche avviene nel quadro di programmi militari. Pensiamo al caso più clamoroso. Internet. Nato per l’industria e la tattica militare. Oppure pensiamo a Israele, dove molte tra le start-up più innovative nascono grazie alle unità più specializzate dell’esercito. Come al solito, la situazione è più complessa dell’apparenza. Rinunciamo pure agli F35, ma non illudiamoci di poterli convertire in pane e case. Senza ricerca, tecnologia e sviluppo, alla lunga non si mangia.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas Twitter: @tobiazevi
(2 luglio 2013)