Pavoncello: “La mia ultima sfida”

Al via il prossimo 18 luglio una nuova edizione delle Maccabiadi. Anche l’Italia protagonista con una delegazione che competerà in numerose discipline – dal calcio al basket, dalla pallanuoto al judo. L’iniziativa ha il sostegno di Coni, Federcalcio e Federnuoto. Vittorio Pavoncello, presidente del Maccabi Italia e consigliere UCEI, ci spiega quali emozioni stanno dietro a questa sfida.

La passione nacque tanti anni fa. Era il 1969, la eco del risultato di 0 a 0 della rappresentativa Maccabi italiana contro la nazionale di Israele, mi fece innamorare: il mio sogno quello di giocare la Maccabiade. Avevo l’età nel 1973, avevo programmato l’esame di maturità, ma all’ultimo non se ne fece nulla. Ero pronto per l’edizione del 1977 ma, nonostante la giovane età, avevo già un caratterino poco malleabile. L’allora dirigenza del Maccabi decise di svecchiare, di sfoltire la rosa di calciatori: li avrebbe integrati con dei giovanissimi emergenti, provenienti dalle serie minori e con un allenatore nuovo di zecca. Il calcio è un divertimento, il nuovo mister mi avrebbe retrocesso in difesa, non volevo lasciare i miei compagni senza squadra. Diedi vita all’Hapoel. Il gesto non fu preso bene dall’allora presidente Valabrega e mi costò l’esclusione dall’agognata Maccabiade. Ma in quel periodo giocavo forte. Con l’aiuto della squadra, nella Coppa dell’Amicizia di quell’anno, vinsi la coppa capocannoniere. Mi adattai a giocare fuori ruolo, con la speranza che il mister, ingaggiato fuori ambiente, potesse “forzare” la dirigenza Maccabi a portarmi. Fu l’intervento del non ancora mio suocero, Angelo Calò Lupetto, presidente della Haganà, a spezzare l’embargo: facemmo un accordo io e lui, e questo accordo resterà per sempre un segreto. Io realizzavo il mio sogno sportivo: rappresentare lo sport ebraico italiano in un mondiale. Passato l’agonismo mi allontanai dal Maccabi. Molto tempo dopo – era il 1989 – mi trovai nel mezzo di una riunione di programmazione della Maccabiade. Anche allora il problema principale era quello di trovare le risorse finanziarie idonee perché si potesse mandare in Israele una buona delegazione. Rimasi coinvolto. Da allora non ho mai smesso. La mia missione: regalare, a quanti più ragazzi possibile l’emozione che io ebbi tanti anni fa, che mi è rimasta indelebilmente impressa nella mente e nel cuore. Ogni anno è sempre più difficile, ogni anno sempre meno risorse. L’amore di quei pochi volontari, sognatori come me, che mi sostengono nell’affrontare la battaglia e tutte le varie vicissitudini legate all’organizzazione di un evento dalle dimensioni inimmaginabili. Una fatica quasi mai ripagata, il fuoco amico che ti danneggia, nessuno ad aiutarti, l’importanza dell’evento e dello sport non considerato in un’epoca che va, sempre più, verso l’assimilazione. Tutto ciò mi fa capire che il mio tempo è arrivato. Sono stanco e demotivato, non ho più voglia di lottare contro i mulini a vento. Questa sarà la mia ultima Maccabiade da presidente. Ma i miei ragazzi avranno, anche quest’anno, una quota più che dimezzata. Le squadre gareggeranno con le insegne ufficiali delle federazioni italiane di appartenenza. Gli amici di sempre ci forniranno il materiale per la sfilata. Lascio, ma lascio un Maccabi con una ritrovata considerazione internazionale, conosciuto e stimato in tutti gli ambienti. Lascio un Maccabi che ha organizzato i Giochi Europei a Roma, il maggior evento ebraico di sempre in Italia.

Vittorio Pavoncello, Pagine Ebraiche, luglio 2013