Mai abbastanza vicini, mai abbastanza lontani

Ci sono paradossi curiosi nel modo in cui gli ebrei italiani tendono a giudicarsi a vicenda: anche se sappiamo benissimo che non tutti sono osservanti, e ripetiamo sempre che le Comunità sono di tutti, di fatto anche a chi frequenta l’ambiente ebraico con una certa regolarità può capitare di essere biasimato se va solo alle attività “laiche” (conferenze, giornate di studio, assemblee, riunioni, attività su Israele, feste, ecc.) e non al bet ha-keneset; c’è poi chi viene biasimato se va al bet ha-keneset solo per le feste più importanti e non di shabbat; e c’è chi viene biasimato perché ci va uno shabbat ogni tanto; e c’è anche chi viene biasimato perché magari ci va ogni shabbat ma arriva sempre in ritardo, oppure arriva qualche volta in ritardo. Tutti proclamano sempre a gran voce che le comunità sono aperte a tutti, ai vicini come ai lontani, ma poi quando un lontano si avvicina trova quasi sempre qualcuno pronto a rilevare che non si è ancora avvicinato abbastanza, o a rimproverargli la lontananza passata. Insomma, per quanto siamo vicini, ci sarà sempre qualcuno per cui non siamo vicini abbastanza. In compenso chi diventa famoso, per quanto poco possa osservare, per quanto poco possa frequentare, non sarà mai abbastanza lontano da non suscitare nel mondo ebraico il desiderio di gridare ai quattro venti che è uno/una di noi.
È proprio necessario vincere un Premio Nobel per vedere la propria identità ebraica riconosciuta da tutti senza se e senza ma?

Anna Segre, insegnante

(5 luglio 2013)