…schemi
L’esilio a molti appare una condizione disdicevole. la rappresentazione della sconfitta e della fuoriuscita dalla storia. Si va in esilio perché si è perso. E si resta in esilio perché si continua a perdere. Il profilo della storia degli ebrei sembrerebbe confermarlo. È uno schema troppo facile. E gli schemi perfetti non sono veri. La realtà è sempre più complicata. Per questo la figura dell’esilio solo come sconfitta è un’immagine che non mi convince. Perché significa avere la testa voltata indietro. L’esilio, quando invece guarda avanti, non è autocommiserazione o autocompiacimento: genera inquietudine e obbliga a cercare risposte. Per farlo occorre a sviluppare, coltivare e tenere in esercizio un pensiero creativo, in cui gli elementi più disparati, spesso percepiti come tra loro lontani, si mettono insieme, creando qualcosa che prima non c’era. Una lingua, una cultura si potrebbe dire per estensione, non è morta quando la testa deve stare sempre attenta e tradurre per i propri e per gli altri ciò che si pensa, come si vive, le emozioni che si provano, e per far questo deve trovare i modi per dirlo ai propri e a coloro che propri non sono. Lo fa in vari modi: inventando parole, costruendo immagini, coniando nuove metafore, incrociando parole che vengono da vocabolari diversi. Quando ciò accade e si pensa di essre in esilio, si deve essere consapevoli che quella condizione non indica una sconfitta e non è il segno che la nostra vita è in mano agli altri.
David Bidussa, storico sociale delle idee
(7 luglio 2013)