Scienza – La prima impressione è quella che non conta

Lo studio neuroscientifico delle funzioni cognitive, di come leggiamo un testo, ricordiamo un evento o una storia, ha già una storia centenaria. Ma è solo recentemente che i neuroscienziati hanno cominciato a interessarsi a come il nostro cervello si comporti quando ci troviamo in un contesto sociale. Il primo risultato più sorprendente è senz’altro l’aver dimostrato che tendiamo ad avere dei pregiudizi nei confronti delle persone che appartengono a un gruppo diverso dal nostro, di cui non siamo consapevoli. Anzi, pensiamo di esserne assolutamente esenti. Questo accade ai bianchi quando pensano ai neri. Ci sono molte prove a sostegno di questa dissociazione tra pregiudizio razziale e consapevolezza. Nella politica americana, per fare un esempio, in più occasioni i votanti intervistati prima delle elezioni, con un afroamericano candidato dato per favorito, hanno dichiarato esplicitamente di sostenerlo ma poi o non è affatto stato eletto o ce l’ha fatta appena. Dato che questo effetto è stato osservato in diverse elezioni, si è temuto che qualcosa del genere potesse verificarsi anche nel corso della prima corsa alla Casa Bianca di Barack Obama. Gli psicologi sociali hanno dimostrato in laboratorio la realtà psicologica di questo fenomeno. Per misurare i giudizi negativi che nutriamo verso i membri di un altro gruppo e di cui non siamo consapevoli, è stato utilizzato soprattutto l’Implicit Association Test (IAT, https://implicit.harvard.edu/implicit/ demo/). Nell’IAT, i partecipanti utilizzano lo stesso tasto per indicare, in metà dei casi, facce di afroamericani o parole “buone”, e un altro tasto per indicare facce di europeo-americani o parole “cattive” (“condizione incongruente”), mentre nell’altra metà (cioè nella “condizione congruente”), l’associazione viene invertita. La differenza media tra i tempi di reazione delle due condizioni (“incongruente” – “congruente”) corrisponde alla misura del pregiudizio razziale implicito. Un altro modo per rilevare l’eventuale presenza di pregiudizio razziale consiste nel misurare la risposta di trasalimento, un riflesso difensivo che aumenta con l’esposizione a stimoli negativi o spaventosi e che è direttamente influenzato dalle proiezioni dell’amigdala. Questa piccola struttura a forma di mandorla, che si trova all’interno del lobo temporale, se lesionata riduce notevolmente la risposta di trasalimento. Utilizzando principalmente queste due misurazioni, studiosi americani hanno ripetutamente osservato la presenza di pregiudizi razziali della maggioranza europeo-americana nei confronti della minoranza afroamericana. Invece il pregiudizio della minoranza degli afro-americani varia molto. Questi ultimi, diversamente dagli europeo-americani, non sembrano avere un pregiudizio nei confronti dei membri del loro stesso gruppo, pur affermando esplicitamente di essere pro-neri. Come si spiega questo risultato contro intuitivo? Si pensa che le loro risposte implicite risentano dell’influenza della valutazione negativa che il gruppo dominante esprime nei loro confronti. Quando cominciamo a provare un pregiudizio per gli “altri”? I bambini fino ai sei anni non nascondono i loro pregiudizi razziali, ma quando raggiungono i dieci cominciano a celarli, adeguandosi alle norme sociali che per lo più condannano il razzismo. Naturalmente dipende dal tipo di società e dal periodo storico in cui si vive. Più recentemente, il pregiudizio razziale è stato studiato utilizzando le tecniche di neuroimmagine che hanno permesso di identificare una rete di regioni cerebrali coinvolte. Il primo studio di risonanza magnetica funzionale del 2000 porta la firma di Elisabeth Phelps che, insieme ai suoi collaboratori, ha dimostrato come l’osservazione di volti di persone sconosciute, appartenenti a un gruppo etnico diverso da quello dei partecipanti, tenda a generare una risposta dell’amigdala che correla con la valutazione negativa implicita. Quest’attivazione si affievolisce se i volti presentati sono quelli di afro-americani famosi e di successo. Attenzione, questo non significa che l’amigdala sia la sede del razzismo: pazienti con lesioni dell’amigdala possono anche non mostrare pregiudizi razziali. Studi successivi hanno confermato che il cervello è plastico: in altre parole, la risposta automatica di allerta dell’amigdala può essere modificata da vari fattori. Il tempo, per esempio, è una buona medicina. Gli atteggiamenti negativi, presenti spontaneamente dopo poche manciate di millisecondi dalla presentazione di facce di un gruppo diverso dal nostro, lasciano il campo a processi più riflessivi, come sembra suggerire l’attivazione della corteccia prefrontale – una regione del cervello tipicamente associata alla regolazione e al controllo del comportamento e più sviluppata nell’uomo che negli altri primati. I risultati di queste ricerche fanno ben sperare: anche se millenni di selezione naturale e l’apprendimento sociale di una vita probabilmente ci predispongono negativamente verso quelli che sono diversi da noi, l’entrare in contatto con gli altri, apprezzarne le qualità e darsi tempo per riflettere sono fattori che indeboliscono questa forte predisposizione al pregiudizio. Sappiatelo. Di neuroscienze e razzismo si parlerà alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, nel corso di una scuola estiva “Social Cognitive Neuroscience” (SCoNe), che si terrà a Trieste nella seconda metà di luglio. La missione di SCoNe è di accorciare le distanze tra neuroscienze e società. Il programma, riservato a venti studenti e giovani studiosi provenienti da tutto il mondo, prevede la trattazione teorica e pratica di temi di grande attualità: si discuterà di come le neuroscienze possano spiegare fenomeni complessi quali il razzismo, l’empatia, le scelte economiche e quelle alimentari, e il ruolo delle ricompense. Numerosi i docenti di SCoNe, tra cui ricordiamo Daniela Ovadia, che rifletterà sulle implicazioni etiche che queste ricerche comportano, e la pioniera delle ricerche neuroscientifiche sul razzismo, Elisabeth Phelps, della New York University, che il 19 luglio terrà una lezione aperta al pubblico nell’Aula Magna della SISSA.

Raffaella Rumiati, Scuola Superiore di Studi Avanzati, Trieste – Pagine Ebraiche, luglio 2013

(8 luglio 2013)