Periscopio – Quarantasei anni dopo
Ho trovato molto toccante, illuminante e triste il testo della lettera, scritta poco dopo la “guerra dei sei giorni”, e pubblicata, 46 anni dopo, sul numero di luglio di Pagine Ebraiche, in cui un giovane Sergio Della Pergola si accomiata da un coetaneo arabo israeliano, con cui ha diviso per un anno la stessa camera, ma col quale il rapporto si è rivelato impraticabile, in ragione del dichiarato sionismo di uno dei due ragazzi, e del radicale rifiuto, da parte dell’altro, di tale realtà. Della Pergola ricorda all’amico come, allo scoppio della guerra, gli avesse detto: “Ibrahim, per te non c’è problema: se vincono gli arabi, tu sei arabo; se vincono gli israeliani, tu sei israeliano. Per me, invece, c’è una sola soluzione possibile…”. Ma le parole non servirono. Se gli arabi attaccavano Israele, il posto di Ibrahim era accanto a loro, e la colpa era, a prescindere, di Israele. I due amici si persero.
Credo che questa piccola vicenda spieghi più di tanti libri la natura del conflitto medio-orientale, la sua dimensione umana, prima che politica. Tutti gli israeliani, così come tutte le persone di buon senso e buona volontà, in tutto il mondo, desiderano la pace in Medio Oriente, pur dividendosi sui mezzi per raggiungerla; alcuni pensano che sia un obiettivo effettivamente perseguibile, anche se non in tempi brevi, altri sono più pessimisti; alcuni credono che la responsabilità dell’impasse sia soprattutto degli arabi, altri ritengono che il governo di Israele dovrebbe fare qualcosa di più. Ma credo che tutti pensino che, quando mai pace dovesse esserci, sarebbe comunque una pace fredda, prudente, guardinga. Se Israele dovesse tornare a essere attaccato o minacciato, non potrebbe mai contare sulla solidarietà, il sostegno, la comprensione dei suoi vicini, tanto meno sulla loro attiva protezione. Essi potrebbero, magari, non partecipare attivamente all’aggressione, ma non, certamente, contrastarla. Meglio di niente, si dirà. Meglio una piccola pace diplomatica, fragile, ipocrita e sbilenca, che una vera guerra. Certo, ci mancherebbe altro. Eppure, resta, nel cuore, un sentimento di amarezza, come quello che dovette avere, mezzo secolo fa, il giovane Della Pergola, di fronte alla mancanza di sensibilità e solidarietà del suo amico.
La bella e triste lettera mi ha fatto ricordare lo struggente racconto di Fred Uhlman, L’amico ritrovato: due ragazzi tedeschi interrompono la loro forte, antica amicizia, perché uno di loro è ebreo, e l’altro viene conquistato dal nazismo. L’ebreo si salva in America, e perde ogni notizia del suo vecchio compagno. Un giorno, cinquant’anni dopo, il liceo in cui avevano entrambi studiato gli manda una lettera, dalla quale può ricostruire la vita dell’amico, e apprende che morì giustiziato, perché coinvolto nel complotto contro Hitler. Così, l’amico viene ritrovato.
Speriamo che anche in Israele e Palestina ci siano degli amici ritrovati. Speriamo, anzi, che gli amici si ritrovino ancora in vita, senza bisogno di nuove tragedie. Nessuno pretende che l’amicizia debba consistere in amore incondizionato (gli amici litigano anche), ma, perlomeno, che comprenda il reciproco desiderio che l’altro continui a vivere, a esistere, e che nessuno voglia eliminarlo dalla faccia della Terra. Chiediamo troppo?
Francesco Lucrezi, storico
(10 luglio 2013)