Alba dorata, tramonto bruno
Che diavolo sarà mai successo ad Auschwitz? «Io non ci sono andato. E voi?», chiedeva provocatoriamente, durante una trasmissione televisiva di un paio di mesi fa, Nikólaos Michaloliákos, leader enfatico, retore di prima fila, attore del dramma del fascismo che ritorna sotto il «meandro di Rodi» di Alba Dorata, formazione dell’estrema destra greca dalle crescenti fortune. E per soprammercato aggiungeva: «Non c’è stato nessun forno e nessuna camera a gas. È tutta una menzogna. Ho letto parecchi libri che hanno messo in dubbio la cifra propagandata di sei milioni di ebrei uccisi nei campi di sterminio». Per l’ultracinquantenne duce del partito neofascista, già sottufficiale dei paracadutisti, poi a capo dei giovani del gruppo Ethniki Politiki Enosis, Hitler peraltro è stato «una delle più grandi personalità del ventesimo secolo». E con questo, per così, la partita è già chiusa. A fargli il controcanto è però Eleni Zaroulia, deputato al Parlamento greco, che nei confronti degli immigrati ha dichiarato che si è in presenza, indistintamente, di una «specie di sottouomini, che hanno invaso la nostra patria portandoci ogni sorta di malattia». La summenzionata è peraltro membro, da poco meno di un anno, della Commissione per l’uguaglianza e la non discriminazione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Tanto per capirci. Antisemitismo, negazionismo, razzismo, intolleranza ma anche violenza, con il ricorso alle mani, sono prassi abituali per gli appartenenti alla «Laïkós Sýmdesmos – Chrysí Avgí» ossia Lega popolare – Aurora dorata, più prosaicamente conosciuta come Alba dorata. Quale sia il suo indirizzo dottrinario è presto detto, rimandando al nazionalismo ellenico più esasperato, all’antieuropeismo e all’ideologia metaxista, una sorta di fascismo greco, collegato all’azione, tra il 1936 e il 1941, del dittatore greco Ioannis Metaxas. Il regime di quell’epoca peraltro si differenziava da Mussolini ed Hitler, i quali si incaricarono di regolare i conti invadendo il paese ed assoggettandolo per quattro anni. Per Metaxas, che andava vaneggiando di sé e dell’Atene degli anni Trenta come di parti viventi della «Terza civiltà greca» (la prima era stata quella militare spartana, la seconda la greco-ortodossa bizantina), fondamentale era il basare l’organizzazione della società sulla scorta di una concezione autoritaria e razzista, dove gli individui – altrimenti «corrotti» dal liberalismo, dall’individualismo ma anche dal collettivismo socialista – dovevano subordinarsi in tutto e per tutto alla volontà dello Stato. In quest’ottica, poi ripresa dalla «Giunta» di Georgios Papadopoulos, il regime militare vigente tra il 1967 e il 1974, convenzionalmente conosciuto anche come la «dittatura dei colonnelli», per più aspetti di matrice neofascista o comunque tradizionalista, l’obiettivo era quello di trasformare lo «spirito greco», rifondandolo alla sua radice e depurandolo dell’«intossicazione comunista». Come era già avvenuto alcuni decenni prima, i temi di fondo, recuperati negli anni Sessanta e fatti adesso propri da Alba dorata, rinviavano alla «grecità» come ad una dimensione strettamente etnica: erano infatti da considerarsi membri a pieno titolo della comunità nazionale solo i greci cristiani. Da questo consesso venivano escluse le minoranze slave, albanesi, turche e di altra derivazione. Fondamentale era stata la collusione della Chiesa greco-ortodossa e della monarchia, elementi che oggi, invece, non sussistono o svolgono un ruolo meno rilevante. Dopo di che, differisce in qualcosa da quel passato il partito di Nikólaos Michaloliákos e, soprattutto, quali sono le sue possibili fortune per i tempi a venire? Le sue radici non sono recenti. Militante ultranazionalista, estimatore e sostenitore dei colonnelli, legato agli ambienti dell’internazionale neofascista (e all’italiano Ordine nuovo), più volte detenuto per reati di natura politica, Michaloliákos già nel 1980 aveva iniziato a porre le basi di un’organizzazione autonoma, la cui presenza sarà però ufficializzata solo tredici anni dopo. Si trattava, in un primo tempo, della rivista «Aurora dorata» che allo spietato nazionalismo ereditato da Metaxas e da Papadopoulos coniugava simpatie naziste. A questo quadro di riferimento si aggiungeva la teoria del dodecateismo (letteralmente, l’«insegnamento dei dodici dei»), di matrice paganeggiante, volta a propagandare una sorta di suprematismo ellenico. L’anticristianesimo di queste posizioni è poi stato rivisto, con un calcolo di stretta convenienza, distinguendo la bontà del magistero greco-ortodosso dalla «corruzione delle ideologie del giudeo-cristianesimo». Al nazionalismo, inteso come «unica e autentica rivoluzione di popolo», al rifiuto della democrazia ridotta a «partitocrazia», all’esaltazione del «governo dei migliori», all’ossessione contro la «plutocrazia» ebraica e la finanza internazionale si ricollegava lo statalismo più esasperato, tutti elementi mantenuti nella posizione culturale dell’attuale partito. L’intera architettura ideologica è stata quindi corroborata dal sogno di una «grande Grecia», estesa dall’Albania a Cipro, passando per i territori bulgari e turchi. Naturalmente una Grecia fatta di «greci etnici» e bonificata dalle presenze sgradite degli «alieni». A metà del decennio di fatto l’abbozzo di un’organizzazione politica era quindi già dato, anche se per diverso tempo essa costituì più che altro un network delle bande di skinheads neonazisti insediatisi in alcuni quartieri del centro di Atene. Si trattava quindi, come spesso capita negli ambienti del radicalismo politico, di una piccola struttura, senza troppe ambizioni e soggetta a quei ripetuti fenomeni di frazionamento, di scissione e ricomposizione che si accompagnano alle intelaiature dei gruppi fideistici di stretta nicchia. Nel 1994 Alba dorata si presentò per la prima volta ad una verifica elettorale, quella per l’elezione dei deputati al Parlamento europeo, ottenendo lo 0,11% dei consensi. Un passaggio importante per la piccola formazione politica fu il conflitto in Bosnia-Erzegovina. Alcuni suoi militanti hanno fatto parte della Guardia di volontariato greco, collegata alle truppe serbe, con tutta probabilità partecipando al massacro della popolazione maschile musulmana di Srebrenica nel luglio del 1995. Peraltro si sa che il leader serbo, nonché criminale di guerra, Radovan Karadźić, decorò alcuni miliziani della Guardia. Alba dorata alle successive elezioni legislative del 1996 non superò il microscopico risultato dello 0,07 per cento. Tre anni dopo, alle nuova tornata delle europee, si attestò sullo 0,75 per cento. Cifre insignificanti, del tutto marginali, segno di un seguito elettorale pressoché nullo. Tuttavia, in ciò ancora una volta seguendo pedissequamente la traiettoria dei movimenti radicali, sospesi tra un parlamentarismo di facciata e un concreto radicamento tra le piazze e nelle strade, a cavallo tra gli anni Novanta e il nuovo decennio andò sviluppando le sue tecniche di presenza e mobilitazione, esercitandosi in una serie di attività di propaganda, accompagnate da aggressioni fisiche contro gli avversari politici e gli appartenenti alle minoranze sgradite, a partire dagli immigrati. La costituzione di bande di picchiatori, incaricati di «ripulire le strade» dai presunti nemici, si realizzò con la sostanziale indifferenza della polizia. Una benevola estranietà che ha condizionato favorevolmente l’evoluzione organizzativa del partito. L’ossessione omofoba, con provocazioni, insulti e violenze, divenne poi uno dei suoi cavalli di battaglia. Dopo di che, tra il 2005 e il 2007, la temporanea confluenza in Alleanza patriottica, in tutta probabilità solo una sorta di scatola cinese sotto la quale si celava il vecchio partito, sembrò confermare la progressiva cessazione delle iniziative autonome. Che invece ripresero pubblicamente nel 2007. Due anni dopo il consenso elettorale non superava però ancora lo 0,46 per cento (23.564 voti alle elezioni europee). L’anno successivo, alle elezioni amministrative del 2010, Alba dorata conseguì il primo risultato apprezzabile, un 5,3 per cento ad Atene, eleggendo come consigliere comunale lo stesso Michaloliákos. Di lì in poi la strada si è fatta in discesa. Nelle elezioni politiche del 2012, infatti, il partito si è aggiudicato 21 seggi con il 6,97 per cento dei voti, quelli di 430mila greci. Il programma politico è stato declinato sulla base di una potente xenofobia, promettendo di volersi dedicare alla «liberazione» della Grecia dalla «sporcizia» straniera. Il medesimo risultato, con la perdita però di tre seggi, Alba dorata lo ha ottenuto nella tornata elettorale supplettiva di due mesi dopo, avendo oramai consolidato il suo gradiente intorno al 7-10 per cento dell’elettorato greco, anche se i sondaggi stimano al momento attuale una capacità del 13-15 per cento. Conta in ciò, oltre agli effetti della crisi economica, anche il tracollo della credibilità dei due maggiori partiti, quello socialista e Nuova democrazia, che hanno perso più della metà dei loro elettori. Buono è il consenso raccolto nella capitale, nelle aree di confine con la Turchia, nelle città portuali ossia laddove il problema dell’immigrazione è avvertito come più pressante. Ma non è questo l’unico indice su cui misurare il suo oramai vasto seguito. Sul piano sociale, in un paese dove il tasso ufficiale di disoccupazione sfiora il 30 per cento, l’elettore tipo della destra radicale è in genere maschio, di formazione scolastica medio-bassa, appartenente perlopiù ai ceti popolari, sfiduciato nei confronti non solo dei partiti tradizionali ma anche delle future prospettive. Rilevante è il voto della polizia, chiamata ripetutamente a sedare i tumulti di piazza: dalle sue file si stima che almeno un terzo dei suoi agenti opti per il partito di Michaloliákos. Dopo la vittoria elettorale Alba dorata si è fatta più aggressiva e violenta. I suoi militanti, vestiti rigorosamente in nero, organizzano frequentemente iniziative rivolte ai «greci autentici», nel corso delle quali distribuiscono pane e beni alimentari. A fare da immediato corredo a queste attività falsamente caritatevoli, però di grande impatto mediatico in una società che va velocemente impoverendosi, vi sono le rinnovate aggressioni contro i nemici di sempre: i «comunisti», gli immigrati, i nomadi, i gay. Si tratta, secondo le stesse parole dei suoi dirigenti, della concretizzazione del rifiuto della globalizzazione, del multiculturalisno e del «marxismo». Sul piano politico l’avversione contro l’Unione europea, considerata responsabile della drammatica situazione economica in cui versa il paese, si è tradotta nel sogno geopolitico di un asse preferenziale tra Atene e Mosca. In generale la piattaforma di Alba dorata contempla tutti gli elementi del filone populistico tradizionale ma li esacerba condendoli con una visione apocalittica, di chiara matrice nazifascista. Come tale è parte del network conosciuto come Fronte nazionale europeo, che raccoglie alcune formazioni politiche accomunate dal nazionalismo, dall’anticomunismo e dall’«anticapitalismo» (intendendo il capitalismo medesimo come regime dell’«usura»). Tra di esse si annoverano la romena Noua Dreaptă, la spagnola Democracia Nacional, il tedesco Nationaldemokratische Partei Deutschland, l’italiana Forza nuova, il francese Renouveau français e il polacco Narodowe Odrodzenie Polski. Il Commissario europeo per i diritti umani Nils Muižnieks ha recentemente definito Alba dorata come «il più estremo e, nelle sue opinioni, il più apertamente nazista [tra] i partiti europei». Se ne può stare certi, se si pensa che uno degli ideologi di riferimento è Kostantinos Plevris, già a capo del «movimento 4 agosto» (la data in cui, nel 1936, il generale Metaxas effettò il suo colpo di Stato), anello di congiunzione con i neofascisti italiani di Ordine nuovo e autore, nel 2006, del volume «Jews: the Whole Truth», ispirato ai celeberrimi Protocolli dei Savi anziani di Sion,
Claudio Vercelli
(14 luglio 2013)