Melamed – In classe assieme agli altri
A volte un’osservazione casuale può essere illuminante. Sentire degli amici, lei ebrea di origine marocchina, lui orgogliosamente askenazita definire il proprio come un matrimonio misto ha fatto ridere o per lo meno sorridere tutti i presenti, ma è stato evidente sin da subito come la loro battuta scherzosa abbia lasciato il segno. Perché non si è trattato solo di una battuta, e non era per nulla fuori luogo, bensì l’espressione di una situazione in realtà diffusa, in contesti anche molto differenti fra loro. Per restare in ambito ebraico, il quotidiano israeliano Haaretz, in un articolo recente, ha raccontato come in Israele le scuole “miste” – comparse all’inizio degli anni ottanta – siano sempre più diffuse. Ha qualcosa di strano pensare che venga definita “mista” una scuola dove gli studenti sono tutti ebrei, ma sia laici che religiosi, mentre in Italia anche il semplice tenere aperta una scuola ebraica è una battaglia quotidiana e le scuole “aperte” anche a studenti non iscritti a una comunità sono tali per motivi diversi e complessi. Economica e demografica. In Israele le scuole, tradizionalmente, sono divise in “public schools”, di natura laica, e “public religious schools”, ma una legge recente – proposta nel 2008, approvata lo scorso anno – permette a ogni istituto di integrare le due anime, a patto che ci sia l’approvazione dei due terzi dei genitori e della maggioranza degli insegnanti. All’inizio le scuole miste si sono diffuse soprattutto in realtà piccole, dove i residenti hanno scelto di condividere anche l’educazione dei propri figli, ma il movimento sta crescendo e la diffusione, anche nelle città (ci sono scuole miste anche a Gerusalemme e Tel Aviv), ha cambiato la prospettiva, creando nuove esigenze. Una di queste – forse la più urgente – è la formazione degli insegnanti, che hanno bisogno di una preparazione specifica: un atteggiamento positivo e la buona volontà non possono bastare, serve essere in grado di lavorare in contesto complesso, in cui vanno integrate narrative differenti, punti di vista che possono essere anche lontanissimi. Corsi di pensiero ebraico, di Torah, o lezioni sul calendario possono rivelarsi irte di difficoltà, e ogni insegnante deve farsi portatore di una identità chiara, e prevedere di mettere in discussione le proprie idee, il proprio un punto di vista. Anche per i genitori iscrivere i propri figli a una scuola mista significa mettersi in gioco in una maniera differente, forse addirittura più idealistica. Bisogna essere disponibili ad accettare dinamiche delicate, che anche all’interno delle classi arrivano a un livello di intensità forse imprevisto, e in cui spesso – in assenza, almeno per ora, di una formazione strutturata e specifica – gli istituti scolastici e i singoli insegnanti si trovano a improvvisare. In alcune scuole ci sono due insegnanti per classe, in altre ogni cosa viene affrontata da due differenti punti di vista, o in alcune materie sono le classi ad essere divise in due gruppi. A volte però sono i ragazzi stessi a trovare le soluzioni migliori. In una classe, durante una lezione di Torah, uno studente non religioso ha letto la parola più semplice per definire l’Eterno, e immediatamente un altro bambino gli ha risposto che non avrebbe dovuto farlo, ma avrebbe dovuto usare haShem (il Nome), termine normalmente usato dai religiosi. Nella discussione che ne è seguita, incentrata sulle diverse sensibilità, i ragazzi sono arrivati alla conclusione che non era affatto necessaria una decisione condivisa, perché l’unica cosa importante era il modo in cui si sarebbero comportati l’uno con l’altro.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(15 luglio 2013)