Periscopio
Il diritto a esistere

lucreziDesidero tornare di nuovo al testo della lettera giovanile indirizzata da Sergio Della Pergola, all’indomani della guerra del 1967, a un suo coetaneo arabo, pubblicata sul numero di luglio del mensile cartaceo Pagine Ebraiche, e già oggetto di alcune mie osservazioni sul notiziario quotidiano della scorsa settimana.

Di fronte all’amara constatazione di non poter proseguire, nella contrapposizione e nell’inimicizia tra i due popoli, un rapporto privato di amicizia personale con un suo compagno arabo, il giovane Della Pergola così scrive: “Un ebreo e un arabo possono vivere insieme indefinitamente. Purché non parlino di politica. Purché non siano sinceri sulle loro convinzioni ideologiche. Purché non abbiano amici. Purché non ascoltino la radio e non commentino gli articoli sul giornale. Purché facciano finta di non militare a favore di nessuna idea. Ma che genere di soluzione è questa? E’ una soluzione degna di persone adulte e responsabili?”.

Parole molto tristi e, purtroppo, molto vere. Che, a loro volta, sollecitano delle più ampie considerazioni sulla qualità e la funzione delle relazioni interpersonali.

Una delle prime scoperte che i bambini fanno è che, nonostante quello che dicono genitori e insegnanti, non si può essere sempre sinceri, con chiunque, su ogni argomento, in qualsiasi circostanza e, soprattutto, non si può sempre dire tutto. E credo che uno dei metri di valutazione della maturità, della signorilità e della correttezza di una persona sia proprio la sua capacità di discernere cosa possa essere detto e cosa no, e quando, dove e a chi una determinata cosa possa essere comunicata. Ciò vale in famiglia, in amore, sul lavoro. E, ovviamente, nell’amicizia. In un’occasione distensiva o conviviale, per esempio, non appare opportuno introdurre nella conversazione argomenti – come la politica – che si immagina possano accendere animosità tra gli interlocutori, evidenziandone le differenti visioni della vita, a meno che tutti non si mostrino d’accordo nel farlo. E tutti sanno come un rapporto di coppia si basi su una buona comunicazione, ma anche su una giusta dose di silenzio: sulla capacità di evitare quelle parole che potrebbero offendere il partner, urtarne la sensibilità e la suscettibilità.

Una certa dose di ipocrisia – non tanto nel senso di dire il falso, quanto in quello di non dire tutto ciò che si pensa -, insomma, è non solo lecita, ma, spesso, necessaria.

Ci potrebbe, quindi, essere, in futuro, un’amicizia “ipocrita” tra ebrei e arabi? Un’amicizia ‘parziale’, fondata su una buona dose di ‘omissis’, ma comunque in grado di permettere di vivere insieme, senza farsi la guerra? E converrebbe, forse, lavorare proprio a questo obiettivo limitato e realistico, anziché a quello, pieno e irrealistico, dell’amicizia ‘vera’?

Il problema, nel caso del Medio Oriente, è che la politica non è un semplice argomento di conversazione, l’occasione per uno scambio di vedute tra persone diverse, ma comunque convinte di appartenere allo stesso mondo, e del buon diritto degli interlocutori di continuare ad abitare tale mondo. Essa è il terreno dove si cela la semplice, radicale domanda del diritto di esistere. Una domanda che non appare lecito eludere, anche se, spesso, si fa finta di ignorarla. Anche perché si tratta di una domanda che pare esistere solo per Israele, alla quale il resto del mondo non pare abituato.

Francesco Lucrezi, storico

(18 luglio 2013)