Qui Trieste – Noi siamo la Memoria

phelpsSono in corso in questi giorni, a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, due esperienze di laboratori estivi molto particolari: una è SCoNe, la Summer School in neuroscienze sociali e cognitive della Sissa, la prestigiosa Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e l’altra è Redazione Aperta, il laboratorio giornalistico quest’anno alla sua quinta edizione, durante il quale per due settimane la redazione del portale dell’ebraismo italiano, di Pagine Ebraiche, Italia Ebraica e DafDaf accoglie numerosi ospiti, invitati a ragionare insieme di diversi argomenti e a condividere le giornate di lavoro del Desk.
SCoNe, a cui è dedicato ampio spazio del dossier Sentieri di ricerca pubblicato nel numero di Pagine Ebraiche attualmente in circolazione, è un seminario teorico e pratico-metodologico internazionale che ha, fra gli argomenti princpali, lo studio dei processi sia psicologici che fisiologici collegati alla formazione e all’espressione dei pregiudizi e al loro effetto sul comportamento umano. Parallelamente a Redazione Aperta si parla molto in questi giorni di come la minoranza ebraica italiana sia percepita dall’esterno, di come si possa lavorare per migliorarne le strategie di comunicazione, e si cerca di ragionare anche con i numerosi ospiti su come allargare quella fascia di protezione composta da coloro che per gli ebrei italiani provano interesse e simpatia. I partecipanti ai due seminari avranno un’occasione di incontro: la professoressa Elisabeth Phelps della New York University, una dei maggiori esperti dell’argomento e protagonista di un’intervista pubblicata nel dossier Sentieri di ricerca, terrà una lezione aperta al pubblico e intitolata “Neuroscience of racism” presso l’Aula Magna della Sissa alla presenza del ministro all’Integrazione Cécile Kyenge.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(19 luglio 2013)

Riproponiamo di seguito l’intervista alla professoressa Phelps e alcuni articoli di approfondimento che appaiono sul numero di Pagine Ebraiche luglio attualmente in distribuzione.

“La memoria è ciò che definisce chi siamo”

Capita sempre più frequentemente che per prendere decisioni anche importanti ci si possa basare solo sulla fiducia. E in un mondo sempre più globalizzato è molto probabile che quel senso di fiducia tra i singoli debba essere costruito tra individui provenienti da background differenti fra loro, che hanno esperienze e aspirazioni anche molto distanti. Parallelamente le ricerche indicano sempre più chiaramente come anche scelte che noi crediamo essere interamente razionali in effetti non lo siano, o per lo meno non lo siano del tutto. E questo può avere un costo, sia per gli individui che per la società nel suo complesso. Come spiega subito Elizabeth Phelps, docente di Psicologia e Neuroscienze alla New York University: “La scelta delle persone in cui avere fiducia potrebbe non essere solo correlata con la valutazione di quanto si possa avere effettivamente fiducia in loro. Ha molto a che fare anche con chi siamo noi, con il nostro vissuto”. La psicologia ha già concluso da tempo che esiste una distinzione fra i processi mentali impliciti e quelli espliciti su atteggiamenti, credenze e autopercezione. I processi mentali espliciti comprendono decisioni intenzionali, o giudizi, mentre i processi mentali impliciti avvengono automaticamente, senza che ne siamo consapevoli. Uno dei temi di ricerca di Elizabeth Phelps è il concetto di pregiudizio, l’associazione di una impressione positiva o negativa a differenti gruppi sociali, la sua pervasività e possibilità di essere predittivi di comportamenti sociali. Capaci di influenzare le scelte su svariati argomenti, tra cui per esempio le scelte economiche. Elizabeth Phelps lavora da tempo con Mahzarin Banaji, docente al dipartimento di Psicologia alla Harvard University e insieme portano avanti studi più afferenti alle neuroscienze cognitive che alla psicologia, avvalendosi delle tecniche di neuroimmagine funzionale, che permettono di ana-lizzare le basi biologiche dei comportamenti sociali.

Il suo primo interesse di ricerca era la memoria e il suo rapporto con le emozioni.
In quale relazione sono ora queste idee con il concetto di pregiudizio?

La memoria è ciò che definisce davvero chi siamo, come persone. Ma le cose che rimangono, di cui ci ricordiamo, sono quelle che hanno per noi una portata emotiva. E questo è molto rilevante perché la memoria di esperienze passate può influenzare la nostra percezione degli altri.

I suoi interessi di ricerca vertono principalmente su concetti come pregiudizio e discriminazione. In che misura sono presenti nella società contemporanea?
È diventato raro trovare persone che dichiarino apertamente di avere pregiudizi. Ma la risposta fisiologica, che possiamo vedere con le tecniche di neuro immagine funzionale, racconta una storia molto differente. I pregiudizi esistono, sono diffusi, sono pervasivi. E influenzano le nostre scelte.

La psicologia sociale ha studiato per diversi anni il comportamento umano in questi ambiti, con che risultati?

L’atteggiamento che le persone dichiarano e le loro preferenze spesso non corrispondono: utilizzando l’Implicit Association Test (IAT) possiamo misurare le preferenze implicite nei confronti di un determinato gruppo, che possono anche essere forti. Sono reazioni immediate, non necessariamente congruenti con quello che una persona crede di pensare, né con quello che esprime se sollecitata sull’argomento. Le neuroscienze ci permettono di misurare queste reazioni: abbiamo fatto il primo studio che collegava preferenze razziali e attività cerebrale nel 2000.

Le reazioni dell’amigdala, o di altre parti del cervello, sono quindi quelle che dicono la verità sulle nostre preferenze.

Non esattamente: l’amigdala è il centro di integrazione dei processi neurologici superiori, come le emozioni, ed è coinvolta anche nei sistemi della memoria emozionale. Gestisce in particolar modo la paura, e si attiva anche nella comparazione degli stimoli che riceve con esperienze passate. Possiamo misurare la risposta fisiologica, a cui non è possibile comandare, ma resta poi sempre la possibilità di controllare il nostro comportamento, le nostre scelte. Essere consapevoli dei pregiudizi è il primo passo.

Se sono meccanismi così profondi, però, verrebbe da supporre che chi ha un pregiudizio, in fondo, non ne sia responsabile. Non può farci nulla.
No, non è così: intanto la responsabilità del nostro comportamento resta nostra, indipendentemente dalla reazione immediata, e poi nei nostri test riusciamo a valutare l’effetto del vissuto di una persona sulle sue reazioni. Ci sono esperienze che cambiano la nostra percezione, e capire cosa porta a una riduzione del pregiudizio significa anche sapere come possiamo migliorare il nostro comportamento, il futuro.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

La ricerca nel laboratorio NYU – “Comprendere le nostre emozioni”

Lei si chiama Elizabeth Phelps, e il laboratorio in cui lavora Phelps Lab of New York University, con il “sottotitolo”, se così lo si può definire trattandosi del nome di un laboratorio di ricerca che è parte del dipartimento di Psicologia di una prestigiosa università, Neuroscience of Affect, Learning & Decisions. Grande esperienza, una fama che la precede, competenza indiscutibile… ed è un personaggio che incute un certo timore, anche solo a vedere le fotografie più diffuse, in cui, almeno apparentemente, il carattere emerge in tutta la sua forza. Si aggiungono poi una certa aura mitologica di persona che, oltre ad essere enormemente stimata, fa parte del gotha, in un certo senso il jet set della ricerca. A New York, per di più, non in qualche oscuro istituto sperduto nel nulla. Si dice che non sia facile comunicare con lei, che non risponda alle mail e che sia molto selettiva nei contatti con i media. Tutti ottimi motivi per sentirsi inquieti e, all’idea di intervistarla, essere presi da una certa ansia; ma nella realtà le difficoltà si svelano essere altre: Elizabeth Phelps condivide con tutte le altre persone coinvolte in questo dossier una enorme passione per il proprio lavoro, per la ricerca, e ha il gusto di trasmettere l’importanza degli argomenti che studia. Non sono idee facili, parla di pregiudizi e usa la parola razza con una scioltezza imprevedibile, in un certo senso curiosa, tale da mettere seriamente in imbarazzo la normale attitudine al politically correct, quella che – come scienza vuole, appunto – si basa sull’idea che apparteniamo tutti a una stessa razza, quella umana. Ma Elizabeth Phelps è una persona seria, una ricercatrice di grande esperienza che dirige un rinomato laboratorio, ha vinto numerosi premi e la sua capacità di spiegare di cosa si occupa anche a chi è totalmente digiuno di neuroscienze cognitive è davvero notevole. Ciononostante, capire che cosa studi esattamente la neuroscienza cognitiva non è ovvio: si tratta di un ambito accademico multidisciplinare, che raccoglie studiosi provenienti da background anche molto differenti, e principalmente unisce psicologia e neuroscienze. Si occupa dello studio scientifico delle fondamenta biologiche dei processi mentali, cercando di capire come le funzioni cognitive e comportamentali sono prodotte dal cervello, per cui vi sono coinvolte anche la psicologia fisiologica, la psicologia cognitiva e la neuropsicologia. È una disciplina molto recente, che ha poco più di trent’anni di storia, e si è sviluppata parallelamente all’ingegneria informatica, che ha permesso di produrre macchine sempre più complesse ed efficienti, capaci di simulare attività cognitive molto simili a quelle umane in reti di neuroni artificiali, ma può contare anche sull’apporto di neurobiologia, bioingegneria, psichiatria, fisica, linguistica, oltre alla matematica e all’onnipresente filosofia… Fondamentale è la possibilità di utilizzare tecniche di neuroimmagine funzionale, per la parte sperimentale, così come l’elettrofisiologia: lo studio di pazienti con deficit cognitivi causati da lesioni cerebrali, poi, è una parte molto importante delle neuroscienze cognitive, in congiunzione con la neuropsicologia. Il fine ultimo è di determinare come la comprensione dell’impatto delle emozioni sull’apprendimento e sulla memoria possa influenzare le nostre azioni, al di fuori degli esperimenti in laboratorio. La conseguenza è cercare di capire come le emozioni influenzino la capacità di prendere decisioni, o di fare scelte, e quale sia il loro effetto sul nostro comportamento sociale. Esiste la possibilità di esaminare le differenze fra i processi comportamentali e neurali in rapporto alle emozioni grazie a molteplici tecniche di sperimentazione, si va dalle valutazioni implicite (IAT – Implicit Association Test) alla psicofisiologia, all’utilizzo di test sui tempi delle reazioni e all’analisi del comportamento dei singoli soggetti di fronte alle scelte. Attualmente il focus degli esperimenti portati avanti al Phelps Lab stia nel comprendere i pregiudizi, o, per esser più precisi, nello studio di come funzionino l’acquisizione, l’espressione e l’inibizione dei pregiudizi sociali, in particolare quelli basati sulle razze (al plurale, appunto). Le linee più recenti su cui si stanno muovendo Liz Phelps e il suo gruppo di ricercatori sono quelle nella neuroeconomia, un ambito di ricerca recentissimo, che ben si interseca con le neuroscienze sociali e con il pregiudizio.

A scuola di neuroscienze

Volti sorridenti (provenienti in maniera molto evidente da etnie diverse), monete (americane) e cassette di peperoni: queste sono le immagini scelte per illustrare la prima edizione di SCoNe, la Summer School in Neuroscienze Cognitivo Sociali organizzata dalla prestigiosa Scuola internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste. La neuroscienza cognitivo sociale è una disciplina emergente, che ha una visione interdisciplinare sul comportamento umano in contesti sociali e unisce i metodi delle neuroscienze alle questioni tradizionalmente legate alla psicologia sociale. Nel corso della scuola estiva – riservata a una ventina di studenti e giovani ricercatori provenienti da tutto il mondo – si parlerà di neuroscienze e di razzismo con un mix di lezioni teoriche e lavoro pratico su argomenti complessi e molto attuali: dal pregiudizio all’empatia, dalla discriminazione alle scelte economiche, dalle scelte alimentari ai meccanismi di ricompensa… argomenti che spiegano quelle tre immagini che colpiscono e incuriosiscono. Perché le neuroscienze sono sempre più collegate con le scienze sociali e comportamentali, e con campi interdisciplinari davvero recentissimi, dove la neuroeconomia si intreccia con la teoria della decisione e con le neuroscienze sociali, che si occupano di questioni complesse come le interazioni del cervello con il suo ambiente. Raffaella Rumiati è docente alla SISSA e una delle ideatrici di SCo- Ne, per cui è parte del comitato scientifico, insieme a Francesco Foroni (della SISSA), Giuseppe Di Pellegrino (Università di Bologna e Stefano Cappa (San Raffaele di Milano). Ha in mente un progetto di lungo periodo: si augura che questa possa essere solo una prima edizione, con l’idea di diventare un punto di riferimento europeo in materia. “Mi sono detta che forse si poteva fare di più, la ricerca è entusiasmante ma manca ancora una generazione di neuroscienziati cognitivo sociali. Condividere un metodo è già tantissimo, ma l’idea di riunire giovani di provenienze anche molto differenti, a lavorare insieme su argomenti così importanti, mi sembrava interessante. Anche per questo abbiamo scelto di unire le lezioni frontali del mattino a interventi pomeridiani incentrati su questioni squisitamente metodologiche”. Ha pubblicato decine di lavori su riviste scientifiche internazionali, un libro, e ricevuto numerosi premi prestigiosi, è in numerosi comitati scientifici di rilievo e nel board editoriale di Brain and Cognition e di Cognitive Neuropsychology, fa parte di diverse società scientifiche. E continua a divertirsi. Infatti dice subito che “organizzare una cosa del genere ogni anno sarebbe massacrante, ma è anche entusiasmante”. Le lezioni verranno tenute da docenti in arrivo da tutto il mondo, e oltre ai membri del comitato scientifico saranno a Trieste dal 15 al 28 luglio David Amodio (New York University), Enrico Balli (Sissa Medialab), Carlo Miniussi (Fatebenefratelli Medical Hospital), Daniela Ovadia (Zoe, Milano), David I. Perrett (St Andrews University, UK), Elisabeth Phelps (New York University), Aldo Rustichini (Minnesota University, USA; Cambridge University, UK), Massimo Silvetti (Ghent University, Belgio) e Wolfram Schultz (University of Cambridge, UK). Le due settimane saranno articolate in due distinti moduli: il primo è dedicato al modo con cui il cervello elabora le informazioni che hanno una ricaduta sociale, per esempio il giudizio che diamo agli altri, la messa in atto di stereotipi o pregiudizi, la percezione dei volti e delle emozioni, che hanno un impatto sul modo con cui ci comportiamo con i nostri simili. Il secondo, invece, si concentra su un ambito di ricerca molto attivo negli ultimi anni e che riguarda i meccanismi cerebrali della ricompensa, fortemente motivata dal piacere che ne traiamo. La richiesta di partecipazione è stata alta: 120 le domande arrivate, fra cui sono stati scelti coloro che, oltre al merito, hanno un interesse specifico nel portare avanti ricerche inerenti al tema della Summer School. Sì, perché ci sarà anche un risultato molto pratico: ogni partecipante dovrà formulare un progetto di ricerca e verrà poi scelto il “SISSA Best SCoNe Project”, che potrà essere realizzato proprio alla SISSA, che ne sosterrà il costo. Una selezione difficilissima, come racconta Raffaella Rumiati, che però ha ben evidenziato l’esistenza di molti giovani in gamba, fra cui i venti che prenderanno parte a SCoNe e forse un giorno saranno protagonisti di quella nuova generazione di neuroscienziati sociali che ancora non c’è.

Pagine Ebraiche, luglio 2013

(19 luglio 2013)