Oltremare:
“Avventure templari”
Per noi nuovi israeliani che arriviamo da comunità diasporiche piccole e forti (nel senso dell’identità, perlomeno), l’alyiah coincide anche con la perdita della Comunità, come luogo fisico di attività sia sociali che religiose. Ovvio: in Israele siamo a casa, fra ebrei. Non c’è più bisogno di radunarsi in un luogo ebraico perché tutto intorno le nostre vite si svolgono in un ambiente non ebraico.
Però, chi è sempre andato al tempio deve pur trovare un tempio locale dove andare per shabbat e Feste. E a seconda di dove ci si è stabiliti, iniziano avventure templari più o meno di successo. Intanto, la divisione fra Sfarad e Ashkenaz si ripropone con forza nella tradizione sinagogale. Ed è inutile sottolineare quanto noi italiani siamo un mondo a parte, e anche parecchio frastagliato. Ci sono quelli che si innamorano della musicalità dei templi Carlebach, ma le melodie composte da Carlebach sono troppo soggette all’interpretazione, e spesso prendono chine melodico-depressive, oppure simili a musical americani (che forse non erano previste dall’autore). Alla lunga, a noi italiani il Carlebach viene a noia. C’è chi tenta la via decisamente sefardita, per poi trovarsi in templi marocchini con il rabbino vestito in completo nero e cappello Borsalino: i templi sefarditi non “charedizzati” si contano sulle dita di una mano. Prima di passare alla ritirata però, a Gerusalemme e a Ramat Gan si può andare al Tempio Italiano, dove anche per ragioni estetiche ci si sente un po’ come nel tempio della comunità che abbiamo lasciato; e a Tel Aviv c’è il nuovo tempio degli Italkim, giovane e veramente in larga parte tripolino, ma italiano nella lingua delle chiacchiere al kiddush.
Direi che chi pensava che in Israele fosse possibile riunificare Sfarad e Ashkenaz (se non a tavola, almeno nella preghiera) in un nuovo rito “Yerushalmi” è rimasto deluso. E noi italiani in questo non diamo il buon esempio, con il nostro attaccamento alle musiche e alle tradizioni italiane. E’ un fatto: il modello “melting pot” con noi buoni ebrei non funziona. Preferiamo il patchwork.
Daniela Fubini, Tel Aviv – Twitter: @d_fubini
(22 luglio 2013)