Tea for Two
Shabbat state of mind

silveraSarà che ultimamente mi sento più in là con gli anni, sarà la brezza frizzantina di Opicina che la mattina ti mordicchia un po’ i capelli, ma ho proprio voglia di parlare dello Shabbat. Assodata l’esistenza di certi sabati nei quali con una impellenza enigmatica vivo in stato di ansia e di attesa della fine (ahiahi), saltellando nervosamente da un libro ad un altro e guardando l’impassibile orologio del corridoio, lo Shabbat in sé mi piace assai. Mi piace perché posso soffermarmi lungamente sui particolari, sfogliare i miei raccoglitori folli pieni di articoli che mi appassionano. Mi piace perché mi siedo in tavola con i miei genitori e mia sorella e ci capita di parlare davvero, senza computer impazziti, sigle di telefilm da pallino giallo e suonerie di Mozart per il cellulare. E se proprio dovessi scrivere negli annali lo Shabbat più bello, racconterei di questo appena trascorso con i miei ‘compagni di merenda’. Un venerdì sera passato sdraiati a terra a guardare le stelle e pontificare. In uno di quei film post-generazione Moccia, Che ne sarà di noi, c’è un momento che mi fa sempre sorridere per la zeppola tanto marcata e poetica di Silvio Muccino: lui, il giovane Elio Germano e Pio sono sul tetto e pensano all’esame della maturità e a cosa sarà di loro (“Vorrei sssvegliarmi domani e avere trent’anni e anche Paolo e anche Manuel per vedere che ne sarà di noi”). Ecco noi non abbiamo avuto bisogno di canne, fiumi di alcol e viaggi in Grecia per avere una scusa e poter fare discorsi filosofici conditi da riflessioni frivole e paillettate. C’è bastato lo Shabbat. E lo consiglierei anche a Silvio una volta, non sia mai che faccia pace con suo fratello Gabriele.

Rachel Silvera, studentessa

(22 luglio 2013)