Setirot – L’istinto di possesso

jesurumSo di non dire alcunché di nuovo, ma confesso che ancora, ogni volta, mi affascina e in qualche modo “commuove” constatare nelle mie letture la presenza, spesso sconcertante, di influssi e riflessi, consci o inconsci che siano, della Torah. Sfogliavo “Su Gerusalemme – strategie per il controllo dello spazio urbano”, raccolta di testi curata da Claudia De Martino per Castelvecchi Editore (interventi di Luca Zevi e Ruba Saleh, Moni Ovadia e Francesco Chiodelli, Alessandra Terenzi, Carmelo Severino, Enrico Molinaro, Enzo Maria Le Fevre Cervini) quando a pagina 53 mi è scappato un irrefrenabile sorriso. Ad un certo punto A. Terenzi cita “Il Capitale” di Karl Marx: “La proprietà privata del globo terrestre da parte dei singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo. Anche unʼintera società, una nazione, e anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente non sono proprietarie della terra. Sono soltanto i suoi possessori, i suoi usufruttuari e hanno il dovere di tramandarla migliorata […] alle generazioni successive”.
“La terra è mia e voi state da me come stranieri e ospiti” si legge in Levitico 25:23. Dunque, esattamente come Marx teorizzava, la Torah vuole ridimensionare radicalmente l’istinto di possesso e di proprietà poiché – insegnano i Maestri – questo istinto di possesso e di proprietà esasperato estranea l’uomo dal mondo staccandolo sul piano verticale da Dio e su quello orizzontale dal prossimo.

Stefano Jesurum, giornalista

(25 luglio 2013)