Le piaghe tra le pieghe
I recenti, ripetuti “infortuni” di alcuni esponenti parlamentari del Movimento cinque stelle nel merito del giudizio sul sionismo (“una piaga”), sulla legittimità d’Israele e sul rapporto tra l’uno, l’altra e l’ebraismo italiano e non (“il problema israeliano” rischia di “ledere la comunità ebraica”) non giungono purtroppo inattesi. Semmai rischiano di rivelarci la punta di un iceberg. Sarebbe semplificatorio ricondurre e liquidare questa formazione politica, con il vasto consenso che ha raccolto, a tali sole manifestazioni di gratuita avversione. Anche perché l’ampiezza del seguito elettorale induce comunque a cogliere la pluralità di ragioni che lo motivano, non essendo in presenza di un’organizzazione minore, caratterizzata solo per il suo eventuale radicalismo di nicchia. Evidentemente, la complessità delle vicende mediorientali e, ancor di più, quella del conflitto israelo-palestinese, è sperabile che non siano racchiuse solo nelle infelici esternazioni di cui sopra. Peraltro ad alcune d’esse sono seguite correzioni di tiro, rettifiche e precisazioni. Se ne prenda atto, senza però illudersi: ciò che conta, in quanto si vorrebbe altrimenti derubricare al pari di un lapsus o di un malinteso, sono i moventi che stanno sotto. Non di meno, il leader carismatico e mediatico di questa lista elettorale, Beppe Grillo, che dell’intervenire a gamba tesa nella discussione politica ha fatto una sua personale ragion d’essere, si è ben guardato dall’invitare i suoi interlocutori dallo smentire l’asprezza delle affermazioni originarie. Laddove, va detto, un silenzio vale più di cento parole. Se si osservano i precedenti del summenzionato, verrebbe la voglia di leggere tale omissione come un implicito, ancorché pubblicamente improponibile, assenso. Ma tant’è, e non volendo fare esercizi di dietrologia ci si deve fermare alla linea del riscontro di ciò che è stato, non di quello che potrebbe essere. Inutile quindi dare la caccia ai fantasmi. Se non altro per evitare che essi assumano subito le fattezze di concrete minacce. Dopo di che, al netto delle obbligate cautele, c’è tutto il resto. Il Movimento dei grillini”non ha posizioni specifiche e peculiari in politica estera. Parrebbe essere una dimensione che gli difetti per principio. La qual cosa è, obiettivamente, un’incongruenza, laddove esso vanta invece per principio una vocazione globalizzante, presentandosi nella sua qualità di prodotto di un mondo nuovo, quello risultante dall’interazione dei social network che, per definizione, non conoscono confini. Non si può addurre a motivo di tale mancanza il fatto che sia una formazione politica inedita e dai caratteri per più aspetti atipici, ancora alla ricerca di “linee” e “posizioni” definite. Qualsiasi proposta politica che aspiri a farsi qualcosa di più di una semplice manifestazione del caso, non può non offrire una piattaforma di insieme nella quale si trovano una pluralità di idee e di indicazioni, tanto più su questioni che sono nell’agenda del Paese da sempre, a partire dalle politiche del Mediterraneo. Il rischio, altrimenti, è che a tale vuoto subentrino invece le suggestioni di un pieno ideologico, basato non sul calcolo degli interessi dell’Italia e sul giudizio motivato, bensì su un gioco di simpatie e di antipatie che si alimentano di impressioni. La forte radice ideologica delle contrapposizioni mediorientali peraltro favorisce enormemente tale atteggiamento, che è mentale prima ancora che politico, trasfondendosi però quasi da subito nella politica medesima e cristallizzandosi in essa. Il pregiudizio antisionista si alimenta di questa condizione, ne è parte integrante e in alcuni ambienti culturali, e non solo, è diventato un vero e proprio totem. Più delle dichiarazioni dei parlamentari grillini, e dei successivi distinguo, forse varrebbe la pena rifarsi ai giudizi formulati da simpatizzanti e sostenitori del Movimento, laddove la rottura delle cateratte, e l’equiparazione immediata tra sionismo e nazismo, sono lettera di senso comune. Se tali atteggiamenti non possono essere direttamente imputati agli esponenti istituzionali della formazione politica, rimane il fatto che i gesti, le parole, le affermazioni pubbliche di questi ultimi – che ambiscono a presentarsi come «cittadini», ossia diretta espressione di quella parte della società civile che li ha espressi con i suoi voti – legittimano o, quanto meno, rendono lecito un certo comune sentire. Il quale, nel nome di una rivoluzione civile contro ciò che è chiamato casta, evidentemente ritiene che la politica non debba più essere mediazione del conflitto ma semplice contrapposizione frontale. Atteggiamento che a sua volta richiama una matrice identitaria che nel nome del nuovo recupera non pochi cliché del vecchio. Il problema del Movimento cinque stelle è che si tratta di un’aggregazione politico-elettorale dai tratti marcatamente giacobini e populistici. Si possono aprire mille parentesi e fare infinite disquisizioni sui significati da attribuire a questi termini. Non di meno, come non si deve fare di ogni erba un fascio, così non si può leggere qualsiasi presa di posizione sulla base di un’interpretazione precostituita, che si interroga solo su quanto ciò che è detto, e chi lo dice, siano riconducibili alla coppia amico-nemico. Non è così che si opera (e si giudica) in politica. Ma il linguaggio è un po’ come la lingua, battendo laddove il dente duole, ovvero dove sta precisamente il male. È un indice incontrovertibile di pensieri e intenzioni, assai meno sfumato e ambiguo di quanto a volte si gradirebbe sperare. Il ricorso a parole, a definizioni, ad espressioni, ma anche ad associazioni di idee che poi si rispecchiano in una sorta di flusso incontrollato di affermazioni, dove poco o nulla viene scremato e dove invece la tracotanza e la supponenza di chi ritiene d’essere depositario di verità e virtù indiscutibili fa premio su qualsiasi altro ordine di atteggiamenti, è infatti il grado zero della politica. In altre parole, ne costituisce la negazione. L’antisionismo come ideologia corrente sta, tra le tante altre cose, dentro questo modo di concepire i fatti del mondo e della vita. Presume di avere qualcosa da dire quando in verità è la ripetizione pappagallesca di una visione contorta del conflitto mediorientale. Non c’è bisogno di accostarlo da subito al pregiudizio antisemitico per coglierne l’intrinseca pericolosità, trattandosi di una falsa coscienza, quella che deriva dal ritenere di avere una visione completa del mondo (quanto meno di una parte di esso), laddove la presenza dei “sionisti” costituirebbe un peccato originale. Il Movimento di Grillo e Casaleggio che, tra l’altro, manifesta serissimi problemi di democrazia interna (che non sono per nulla secondari nella formazione di certe posizioni politiche), non di meno rivela di non essersi dotato di filtri, né di essere interessato a costruirli, rispetto alla formazione e alla formulazione pubblica di giudizi che incidono enormemente sulla pubblica opinione. Recuperando in ciò il manicheismo di certi gruppi radicali, non rappresentati in Parlamento, ma che nuotano parassitariamente a proprio agio nella situazione italiana, nutrendosi dello spaesamento di una parte dell’elettorato, ossia della crisi culturale che da oramai diverso tempo ha colpito questo Paese. Ancora una volta ci troviamo dinanzi a degli sdoganatori, che nel nome del cambiamento rischiano di essere gli alfieri, non importa quanto consapevoli, di un vecchio che si camuffa sotto le mentite spoglie del nuovo. La porosità ideologica, culturale e politica dei grillini è evidente a chiunque non voglia leggere la realtà solo con le auto-rappresentazioni che essi offrono di se stessi. La qual cosa, ripetiamo, sarebbe di per sé scarsamente rilevante se non fosse per il fatto che la loro presenza parlamentare è destinata a risultare non occasionale. Così come gli umori che essa esprime, assai più diffusi di quanto non si vorrebbe credere. L’antisionismo è parte integrante del bagaglio di questa formazione politica. Stare nei luoghi della rappresentanza politica implica peraltro un’etica della responsabilità che sembra invece essersi, passo dopo passo, azzerata. Se si può parlare allora di “grillismo”, un neologismo che raccoglie una parte delle cose che si sono appena scritte, oltre ad altro ancora, è bene quindi pensare anche alla continuità di quella parte dell’ideologia italiana che nel radicalismo ha costruito le sue temporanee fortune, salvo rischiare di lasciarsi dietro di sé non poche rovine.
Claudio Vercelli
(4 agosto 2013)