La lezione di Arpad
Qualcuno lo ha definito il “Josè Mourinho degli anni ‘30” per la sua capacità di innovare, di creare un rapporto con i suoi calciatori, di essere davvero uno di loro. Nato a Solt (Ungheria) nel 1896, morto ad Auschwitz nel 1944, Arpad Weisz è stato tra gli allenatori più vincenti di sempre. Al suo attivo tre scudetti con Ambrosiana-Inter e Bologna e la scoperta di un giovanissimo Peppino Meazza. L’ultimo tricolore nella stagione 1936-37, un anno prima della promulgazione delle leggi razziali che, in quanto ebreo, lo avrebbero allontanato per sempre dalla professione. Da eroe osannato da milioni di tifosi adoranti ad autentico emarginato sociale: una condizione durissima, che lo porterà a lasciare il paese per l’Olanda e che andrà gradualmente peggiorando fino all’inferno della persecuzione e della deportazione ad Auschwitz dove sarà ucciso assieme ai familiari. Poi, a guerra finita, un insopportabile e inspiegabile scivolamento nell’oblio con la scomparsa dalla storiografia calcistica ufficiale fino a tempi recentissimi.
Alla sua vita, alle sue conquiste umane e professionali, la redazione del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche dedica uno speciale Dossier Sport, curato da Adam Smulevich e Rossella Tercatin e in distribuzione nei prossimi giorni, in cui la figura di Weisz rivive con iniziative di Memoria legate al suo tragico epilogo ma soprattutto nelle pagine del manuale Il giuoco del calcio scritto a quattro mani con Aldo Molinari nel 1930 e con prefazione di Vittorio Pozzo, futuro ct dell’Italia due volte campione nel mondo (1934 e 1938). Un documento ricco di spunti di grande attualità che la redazione è andata a ripescare negli archivi, sfogliato, analizzato e commentato per i suoi lettori e che potrebbe presto tornare a popolare le case degli italiani con una speciale ristampa della Gazzetta dello Sport. Nel dossier, in otto pagine, si annunciano inoltre alcuni appuntamenti che avranno luogo nei prossimi mesi a partire dal torneo in ricordo di Weisz che si svolgerà a fine settembre a Milano con la partecipazione di Inter, Milan, Bologna e Brera.
Tra i protagonisti del dossier Matteo Marani, direttore del Guerin Sportivo, il giornalista che per primo si è occupato di restituire dignità all’allenatore ungherese ricostruendone l’incredibile e drammatica vicenda in un libro, Dallo scudetto ad Auschwitz, che si è fortemente impresso nell’opinione pubblica e nelle nuove generazioni. “Ai ragazzi – spiega Marani in un’intervista – racconto la mia ricerca, iniziata sfogliando un vecchio almanacco del Bologna calcio. Spiego come sono partito e come sono arrivato, non senza difficoltà, a ricostruire quanto accaduto a Weisz. Vedo che il racconto li conquista e questo mi emoziona. L’auspicio è che la storia possa andare avanti da sola, a prescindere dal mio specifico contributo”. Marani si sofferma inoltre sulla riscoperta del manuale, formidabile lascito di Weisz a più generazioni di allenatori. Sono passati oltre 80 anni dalla sua stesura eppure, in un calcio drasticamente diverso in cui molti dei principi etici e morali delineati nelle sue pagine sono venuti meno, conserva non pochi elementi validi ai giorni nostri. In particolare, sottolinea Marani, i capitoli in cui ci si sofferma sulla preparazione atletica dei calciatori e sulla definizione e descrizione dei differenti ruoli. Ad emergere il profilo di un grande innovatore destinato a fare scuola e a ispirare più generazioni di allenatori. Un concetto anticipato da Pozzo nella commovente prefazione al manuale. “È il libro di due persone pratiche – si legge – il libro di due uomini che, militando nelle file della stessa società e integrandosi a vicenda, hanno imparato ad affrontare giorno per giorno gli innumeri e intricati problemi della vita calcistica, esercitando, per così dire, propaganda qualitativa”.
Nelle pagine del Dossier Sport tornano a vivere gli insegnamenti tra calcio, morale e vita di Weisz. C’è un consiglio valido per tutti. Portieri? Evitate i giochetti inutili. Arbitri? Siate rigorosi e imparziali. Atleti? Attenti ad alcool, tabacco e Venere. L’invito ai giovani è quello di non disperdere il proprio talento ma di coltivarlo con un stile di vita sano e rigoroso. “Soprattutto l’alcool – scrive Weisz – stronca le speranze del giocatore di poter attingere alle più alte vette della sua carriera. L’essere astemio è una fortuna, ma non si vuole con ciò affermare che il calciatore non debba assolutamente bere; l’uso moderato del vino durante i pasti non è nocivo; si vuole qui deplorare che dei giovani, cui sorride uno splendido avvenire, lo annientino volontariamente corrodendo le loro energie fisiche seduti davanti al tavolo di un’osteria o davanti alla buvette di un bar”.
(Nell’immagine il graphic novel dedicato ad Arpad Weisz dal disegnatore Matteo Matteucci)
(12 agosto 2013)