Rav Joseph Levi: “In cammino verso la libertà”
Caro Sindaco Renzi, distinte autorità, cari cittadini di Firenze, cari amici,
Come tutti gli anni siamo nuovamente qui per celebrare insieme la fine della guerra, la vittoria sul male, la fine dell’agonia, la dichiarazione di Firenze come città libera. Libera dall’oppressione militare politica e culturale, libera di proclamare i principi di umanità, eguaglianza, giustizia e solidarietà come base della vita sociale e politica di una città, una “polis”. Libera di tracciare il proprio profilo politico culturale, il suo regime democratico presente e futuro …
Voglio innanzitutto ringraziare il Sindaco, il Consiglio ed il Comune di Firenze per avermi invitato a prendere la parola in questa importante manifestazione per la città, ma in realtà, essendo Firenze stessa decorata di Medaglia d’oro, per l’Italia intera. Aver invitato ad intervenire non solo un esponente della comunità ebraica di Firenze ma il Rabbino stesso è espressione di profonda fiducia sia nei confronti dei cittadini ebrei di questa città alla quale sono sempre stati devoti che nei confronti della loro millenaria cultura ebraica. È un segno di fiducia e riconoscenza verso la nostra collettività per il quale voglio subito ringraziare, non solo a nome mio, ma innanzitutto a nome del nostro Presidente, del nostro Consiglio e della nostra collettività intera, che si commuove per questo gesto di affetto verso cittadini presenti e attivi sul territorio fiorentino fin dai tempi dei Medici, di Ficino e di Pico della Mirandola. Voglio però leggere questo invito anche come un segno di riconoscimento del ruolo che la società ed il mondo ebraico hanno avuto, ed hanno tuttora nella costruzione della vita sociale politica e culturale dell’Italia moderna, dal Risorgimento ad oggi.
I cittadini ebrei di Firenze e del resto d’Italia hanno preso attivamente parte alla costruzione dell’Italia moderna. La loro partecipazione convinta e fattiva, i loro contributi scientifici, letterari e morali e la loro identificazione con il Risorgimento ed i suoi valori sono noti. Lo ricordo qui, oggi, per poter capire ancora meglio la sofferenza dei cittadini italiani di religione ebraica a causa delle leggi razziali, promulgate dal regime fascista e firmate a Pisa dallo stesso Re di Casa Savoia, il cui padre e il cui nonno invece, durante le visite ufficiali a Firenze, visitarono la bella sinagoga della comunità ebraica di Firenze, simbolo e manifestazione degli stessi valori civili promulgati da Casa Savoia e dal Risorgimento. Ma a Pisa, e mi scuserete se faccio il nome di Pisa a Firenze, fu ospite anche un’altra figura nazionale del Risorgimento italiano, Giuseppe Mazzini, ospite fino alla morte della famiglia Rosselli, presso i nonni dei fratelli Carlo e Nello Rosselli.
I cerchi dei significati hanno una loro logica ed un loro senso.
Ma la patria, i Savoia inclusi, non ha saputo riconoscere quei figli che tanto hanno voluto e saputo contribuire alla sua nascita e alla sua costruzione. Questa è, ancora oggi, la vergogna e la ferita che fa soffrire i cittadini italiani di religione ebraica. Questa fu l’enorme sofferenza dei cittadini ebrei negli Anni Trenta, ancor prima delle persecuzioni fisiche e della deportazione del regime nazifascista. Ed è questo spirito alto della cultura umana, della giustizia, del rispetto dell’uomo e dei suoi diritti politici e civili, della sua dignità, dei valori alti della nascente cultura umanistica laica e moderna dell’Italia moderna d’inizio Novecento, messi a rischio dopo il dramma politico ed economico della prima guerra mondiale dai nascenti progetti fascisti, questo spirito spinse i fratelli Rosselli ad essere attivi in nome dei valori del Risorgimento italiano, a mettersi al servizio della nazione, della società, dei diritti dell’uomo, fino ad essere immolati dal regime fascista sull’altare dei valori autoritari e totalitari, barbari, anti-umani e anti-italiani di un regime fondato sul culto del potere, della forza e della personalità. I Rosselli furono fra i primi ebrei, ma non gli unici, a sacrificare la vita per difendere i valori risorgimentali dell’Italia moderna.
Notevole ed importante fu il contributo di cittadini fiorentini ebrei alla Resistenza e al Comitato Toscano di Liberazione Nazionale. Una delle particolarità degli eventi della guerra e della deportazione a Firenze, ci ha insegnato Collotti con i suoi collaboratori Supino e Bayardi, fu proprio la stretta collaborazione ed il contributo a ogni livello dei cittadini ebrei alla lotta dei partigiani e allo sforzo del Comitato di Liberazione, impegnato nei drammatici mesi che vanno dal novembre del ’43 all’agosto del ’44 a difendere la popolazione e ad abbattere lo spietato nemico.
Permettetemi di ricordare i partigiani elencati sulla lapide commemorativa nel giardino della nostra sinagoga:
Il partigiano Eugenio Calò, nato a Pisa nel 1906, Medaglia d’oro al valor militare, vice-comandante della 23a Brigata Garibaldi sui monti del Casentino, e poi comandante nelle montagne vicino ad Arezzo. Egli, pur dimostrando umanità nei confronti dei prigionieri tedeschi catturati dai partigiani e salvandoli dalla morte, fu poi ucciso dai soldati dell’esercito tedesco dopo la sua cattura il 14 luglio del ’44.
La moglie Carolina Lombroso, incinta del quarto figlio, rifiutò di nascondersi pensando di essere risparmiata per il suo stato; ma fu incarcerata con i tre figli alle Murate e, deportata nel maggio del ’44, partorì nel treno per Auschwitz.
Alessandro Sinigaglia, Medaglia d’argento al valor militare. Nome di battaglia “Vittorio”, nacque a Fiesole il 2.1.1902 e morì a Firenze il 13.2.1944.
Soldato meccanico della marina durante la prima guerra mondiale, di ritorno dal servizio militare aderì nel 1924 al Partito Comunista clandestino, e successivamente partecipò alla guerra di Spagna. Arrestato dopo la sconfitta delle forze repubblicane, fu consegnato alle autorità italiane che lo confinarono a Ventotene. Liberato dopo la caduta di Mussolini, tornò a Firenze e organizzò e guidò una delle prime formazioni Gap. Pochi mesi dopo cadde in una imboscata dei repubblichini della banda Carità e venne ucciso in via Pandolfini.
Dante Valobra, nato a Firenze nel 1925, caduto a Castel S. Niccolò, Arezzo, il 29.6.44. Stella garibaldina alla memoria, aderì al Partito d’Azione e ai primi gruppi della Resistenza. Catturato dai fascisti, fu miracolosamente liberato da Villa Triste con l’aiuto del Cardinale della Costa. Entrò nella brigata partigiana Lanciotto. Cadde a Cettica durante un pesante rastrellamento. Raccolse informazioni sugli spostamenti dei treni tedeschi e le trasmise alle forze della Resistenza.
Giuliano Treves, nato a Firenze nel 1916, ucciso a Firenze il 7 agosto 1944. Sfuggito alla cattura degli ebrei e rifugiatosi nel convento del Carmine, diventò ufficiale di collegamento e traduttore con le formazioni partigiane. Fu colpito da un ordigno in Piazza S. Spirito il 7 agosto, mentre si trovava in piazza con Barducci e altri partigiani della divisione Garibaldi.
Gianfranco Sarfatti, nato a Firenze nel 1922, caduto in Valle d’Aosta il 21 febbraio 1945, Medaglia d’argento al valor militare, creatore del fronte della gioventù fiorentina. Fuggito in Svizzera nella primavera del ’44, tornò in Italia per combattere e inviato tra i partigiani della brigata Garibaldi Emilio Lexert della Valle d’Aosta, divenne commissario politico della sua brigata. Cadde durante un rastrellamento.
E poi ancora Luciano Tedeschi, e altri ancora che non ho nominato.
Permettetemi di fare anche il nome, fra tanti altri, dell’ancora vivente ultracentenario Ugo Jona, presidente emerito dell’Anfim.
Se i movimenti antifascisti e la Resistenza hanno visto l’adesione ed il contributo di esponenti ebraici fin dalla fine della prima guerra mondiale sino all’armistizio e alla fine della seconda guerra mondiale, la comunità ebraica fiorentina ed il mondo ebraico tutto devono alla Resistenza ed ai partigiani la conservazione e la salvezza della nostra sinagoga monumentale di Firenze che, minata assieme ai ponti ed altri edifici dai tedeschi nel momento della ritirata, fu salvata dai partigiani che disinnescarono gli esplosivi, risparmiando il bellissimo edificio moresco per le future generazioni.
A Firenze fu attivo anche Eugenio Artom. Croce di guerra e medaglia di bronzo al valore della prima guerra mondiale e croce di guerra per la partecipazione alla resistenza nella seconda guerra mondiael.Ebreo torinese sposo la giuliana Treves e venne a Firenze come delegato aggiunto dell’assicurazione la Fondiaria. promotore del comando militare posto alle dipendenze del comitato toscano di liberazione nazionale. Esponente liberale anti fascista sorrveglato dal regime collaborò con il comitato nazionale di liberazione nazionale e curò gli aiuti alla popolazione ebraica.
E per quanto riguarda il rapporto fra mondo ebraico e Resistenza nel resto d’Italia, a titolo d’esempio vorrei ricordare il nome di Emanuele Artom, torinese, fratello del Rabbino capo di Firenze prima della guerra, Elia Artom. Allievo di Augusto Monti al liceo Massimo d’Azeglio di Torino, aderì ufficialmente nel 1943 al Partito d’Azione. Commissario politico delle formazioni di Giustizia e Libertà, incoraggiò i partigiani del Piemonte a una lotta non solo di liberazione, ma anche di rinnovamento democratico. Catturato il 25 marzo ’44, torturato e trasferito in carcere, morì a seguito delle torture il 7 aprile 1944. Secondo il giudizio del filosofo torinese Norberto Bobbio, il suo diario è uno dei migliori testi sia della memorialistica partigiana che della narrazione della durezza delle persecuzioni antiebraiche.
I valori del Risorgimento e della Resistenza ci uniscono ancora oggi e ci danno il senso di questa festa di commemorazione nel tentativo di costruire il futuro ed analizzare i problemi del presente alla luce degli ideali del passato e la profonda consapevolezza dei problemi che possono emergere e su come affrontarli. Risorgimento e totalitarismo sono le due facce del nostro passato che ci devono aiutare a costruire il nostro futuro democratico ed umanistico, a Firenze e in Europa. Un futuro libero da minacce e da condizionamenti di vario tipo. Una libertà che richiede consapevolezza, coraggio e vigilanza, accompagnati da un grande spirito d’amore per l’umanità intera, per l’uomo e per tutto quello che sa creare e produrre.
L’11 agosto significa per la città di Firenze la fine dell’agonia e la riconquista della libertà civile e politica, la fine degli eccidi e della morte insensata inflitta agli innocenti passanti dai franchi tiratori, la fine della deportazione,
che per gli ebrei aveva un significato ancor più forte.
Certo è però che la stretta collaborazione fra fascisti e nazisti a Firenze ha assunto livelli ancora più istituzionali rispetto al resto dell’Italia. Infatti una seconda caratteristica del caso fiorentino, secondo gli autori soprannominati, furono le deportazioni ed i rastrellamenti degli ebrei di Firenze e Prato, a partire dall’ottobre del ’43, per mano della stessa polizia italiana grazie all’istituzione di un Ufficio per gli affari ebraici, unico in Italia, ordinato dal prefetto della città. A capo dell’ufficio, ubicato al 26 di via Cavour, nella casa confiscata a Bettino Errera, non lontano dagli uffici della Prefettura di Palazzo Medici Riccardi, fu nominato dal prefetto un dichiarato antisemita, Giovanni Francesco Martelloni, il quale non solo seguì personalmente i rastrellamenti di casa in casa, ma ordinò anche la requisizione dei beni degli ebrei (mobili, biancheria, preziosi e opere d’arte), per poi appropriarsene e farne commercio anche dopo la guerra. Parte delle cose rubate furono vendute a buon prezzo nei mercati, e non mancarono i clienti. Martelloni orchestrò una forte campagna antisemita sui giornali, senza ovviamente mai dare la notizia sulle deportazioni. Scappò da Firenze assieme agli altri sgherri ai primi di luglio portando con sé gli arredi della sinagoga di Firenze, poi miracolosamente ritrovati. Ci fu un tentativo di processarlo dopo la guerra, ma fu assolto, pensate!, perché obbedì agli ordini. E continuò a fare il critico d’arte e a fare commercio, indisturbato, delle opere d’arte rubate. Giudicò personalmente gli ebrei che riusciva a riconoscere dalla lista dei nomi e delle foto che portava con sé, come per esempio Gastone Saadun.
Questi ricordi del passato e della malvagità umana non ci devono scoraggiare o deprimere, ma anzi rinsaldare ancora di più nella nostra determinazione di creare e vigilare su una società che aspira alla costruzione di valori diversi: valori di amicizia, fratellanza, solidarietà e calore umano che non permettano ai malvagi e ai criminali di risorgere. La libertà e la democrazia hanno l’obbligo di difendersi, ci insegnano le vicende della seconda guerra mondiale, e i guardiani della libertà e della democrazia dobbiamo essere noi, semplici ma consapevoli cittadini.
È utile ed importante ricordare che la guerra e la repressione sotto i nazisti ed i fascisti toccava non solo gli ebrei, in percentuale un gruppo esiguo della popolazione, ma toccò invece tutta la popolazione. Accanto ai deportati ebrei tirati fuori dalle loro abitazioni e dai nascondigli grazie alle liste preparate dai dipendenti dell’Ufficio per gli affari ebraici del regime fascista, i crimini dei nazifascisti toccavano in quei mesi l’intera popolazione fiorentina.
Ecco una breve lista di eventi accaduti fra il marzo e l’agosto del ’44:
Il 19 marzo centinaia di lavoratori vengono concentrati nel convento in piazza S. Maria Novella e deportati ai campi di sterminio in vagoni piombati .
Il 22 marzo un tribunale speciale decide di fucilare cinque giovani rastrellati a Vicchio, quale esempio per le reclute, costrette ad assistere alla fucilazione. Così Antonio Raddi, Adriano Santoni, Guido Targetti, Ottorino Quiti e Leonardo Corona vengono fucilati alla presenza della autorità fasciste nello stadio di Firenze.
Vanno ricordati assieme ad essi gli ebrei Ada Bemporad, Elda Galetti Servi e Valentina Servi Galetti, Alberto Guetta e Pierluigi Guetta, e Piero Viterbo, fucilati dagli stessi fascisti solo perché ebrei.
Il 7 giugno i tedeschi arrestarono i rappresentanti della commissione Radio Cora del Partito d’Azione.
Il servizio di Radio Cora fu guidato dall’Avv. Enrico Guido Bocci, nome di battaglia “Placido”, Firenze 1896-1944, partigiano antifascista, Medaglia d’oro al valor militare per l’impegno nella Resistenza, Arruolato volontario nella prima guerra mondiale, frequenta a Firenze dopo la guerra il primo nucleo culturale antifascista in contrasto con lo squadrismo fascista dilagante. Tra i fondatori dell’Italia libera assieme a Carlo e Nello Rosselli, proprio nel suo studio a Firenze si tenne la prima riunione del partito. Procura documenti al movimento clandestino ed ai perseguitati delle leggi razziali e partecipa alla fondazione del quotidiano clandestino “Non Mollare”.
Bocci organizza il servizio Radio Cora, che fornisce informazioni sulla linea tedesca di difesa sull’Appennino. Il 7 giugno, in piazza d’Azeglio 12, Luigi Morandi, Gilda la Rocca, Carlo Campolmi, Guido Focacci, Gianfranco Gilardini, Italo Piccagli e Enrico Bocci vengono catturati e portati in arresto a villa Triste; torturati duramente non rivelano i segreti e le informazione di cui disponevano. ] Dalla parta inglese furano aiutati dal giovane ragazzo esperto di trasmissioni radio Renato Levi.
Il 17 luglio un camion carico i fascisti arriva in piazza Torquato Tasso. I fascisti, senza nessuno scrupolo, aprono il fuoco, si contano cinque morti, un bambino di 4 anni e 4 adulti, inermi cittadini, e tanti feriti fra la popolazione.
L’avanzata degli Alleati in quei mesi drammatici non riuscì a fermare la deportazione nei campi di civili inermi. I fucili dei franchi tiratori non distinguevano fra i cittadini e la repressione seguiva la sua barbara logica senza distinguere fra provenienze e religione.
Ecco perché il ricordo degli eventi che portarono alla liberazione ed alla dichiarazione di Firenze Città libera con le sue istituzioni ed il suo sindaco, preparata da tremila e più cittadini, senza distinzione di etnia, sesso ed età è importante ancora oggi. Lo spirito libero di questa parte minoritaria ma consistente della cittadinanza ha portato libertà e dignità a tutti.
Noi ebrei della comunità ebraica di Firenze siamo fieri di aver contribuito e di aver preso parte alla lotta per una Firenze libera al servizio di tutti i suoi cittadini, giovani e anziani, senza distinzione di etnia, religione o sesso.
La memoria degli eventi politici che portarono nel ’44 alla repressione totale, alle uccisioni e alla deportazione sistematica di vari settori della popolazione come logica di un sistema repressivo, non si fermava ovviamente alla popolazione ebraica, la prima ad essere “eletta” per la deportazione, ma toccava, com’è nella logica della repressione, ampi settori. Ricordiamoci che la politica disumana della deportazione ha prodotto in Toscana circa 2000 vittime, per metà deportati politici e per metà ebrei, dei quali solo pochissimi hanno fatto ritorno. Questa memoria ci deve far riflettere quando oggi vogliamo con certa leggerezza considerare di cambiare alcuni principi della nostra costituzione, che rappresenta nei suoi contenuti e nei suoi equilibri tutto ciò che le forze politiche di allora hanno imparato dalla lotta e hanno voluto formulare per iscritto come principi base inviolabili d’una Italia libera e democratica.
[Certo l’agonia delle famiglie ebraiche era forse più grande. Per alcune famiglie la liberazione dell’11 agosto è arrivata troppo tardi. Molti non ce la facevano più a sopportare l’umiliazione e l’angoscia di dover sempre fuggire e nascondersi e, proprio alla vigilia della liberazione, tanti sono morti. ]
Proprio questo anno, a novembre, commemoreremo i 70 anni della deportazione della popolazione ebraica da Firenze: 350 anime di ebrei fiorentini e altri 300 stranieri, e ancora 100 senza nome che a Firenze speravano di trovare rifugio e aiuto. Anche la loro storia è storia della nostra città, e mi dispiace di non poter nominarli uno per uno.
Poi, nel marzo 2014, commemoreremo i 70anni della deportazione di centinaia di cittadini inermi chiamati “politici”, periti per la stessa logica autoritaria di annientamento di coloro che temono la libertà di pensiero e seguono la logica dell’intolleranza e del terrorismo. Il ricordo della guerra e della dura vittoria, avvenuta qui da noi l’11 agosto, ci deve indurre a promuovere di continuo la cultura della tolleranza e dell’interesse per le idee e le vita altrui, la curiosità e l’amore per altre e diverse forme di cultura umana apprezzando la varietà dei fenomeni della vita e della cultura umana, invece di volerla chiudere in una forma autoritaria e totalitaria, rispondendo all’odio con l’amore profondo per l’uomo e le sue culture.
I nomi dei deportati da Firenze e dalla Toscana, oltre ad essere nominati sulla lapide nel nostro giardino della sinagoga, sono riportati sulla lapide che la Provincia ha voluto giustamente apporre in via Cavour. Una lapide che ricorda e riporta i nomi di tutti i deportati della guerra senza distinzione. Operai, prigionieri politici, ebrei e gente comune, arrestati causalmente dal barbaro ed abietto nemico.
La festa di liberazione di oggi ci deve servire quindi anche come ammonimento perenne. La democrazia e la libertà vanno vigilate senza sosta. È dovere nostro e delle istituzioni di non permettere neanche ai pur minimi fenomeni di razzismo, di violenza contro gli stranieri o contro le donne, di essere in qualche modo legittimizzati. Siamo noi cittadini, con l’aiuto degli organi che ci rappresentano, a dover difendere il diritto di ogni essere umano, straniero o italiano, donna o uomo, giovane o vecchio, a una vita piena di rispetto e dignità, tutelata dalla collettività intera, per essere certi che la vergogna della deportazione non si ripeterà mai più.
Permettetemi a questo punto di dare lettura di brani dal manifesto del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, pubblicato l’11 agosto, che spiega meglio di tutto, a mio avviso, lo spirito fiorentino che si è manifestato in quel giorno d’agosto del ’44 e che ci deve e ci può ispirare ancora oggi:
“Fiorentini, su designazione del Comitato di liberazione nazionale assumiamo l’amministrazione della città di Firenze. Firenze è vostra, vi ha detto l’alta voce del Comandante dell’esercito di liberazione. Firenze ritorna da oggi vostra, ripetiamo noi. Un regime che tutto concentrava per poter tutto dominare ed opprimere ha distrutto qualsiasi residuo di quelle libertà comunali … che per secoli fecero gloriosa Firenze. Oggi anche la libertà comunale si avvia a risorgere…
Firenze non è rimasta intatta nella duplice impareggiabile bellezza della natura e dell’arte, ma la barbarie del nemico … ha quasi distrutto ogni possibilità di vita civile.. Tutto deve essere ricostruito…. “. Gaetano Pieraccini, Sindaco.
Con questo arrivo alla terza ed ultima caratteristica del caso fiorentino e della storia della nostra città, di cui possiamo essere fieri. Nell’ambito del Comitato di Liberazione Nazionale in Toscana e a Firenze fu creato anche un Comitato ebraico- cristiano di salvezza per gli ebrei residenti, e per i tanti stranieri che dopo l’armistizio vennero a Firenze per cercare salvezza e rifugio. Del Comitato fecero parte il Rabbino della comunità ebraica, Nathan Cassuto, la signora Matilde Cassin, le sorelle Lascar e Saul Campagnano per la parte ebraica. Per la parte civile e cristiana presero parte Adone e Giancarlo Zoli, Don Facibeni, sostenuti dal Cardinale della Costa e don Casini. La Cassin, sostenuta da un prete, visitava i conventi della città cercando ospitalità e rifugio per tante famiglie ebraiche in pericolo, che furono accolte dalle suore e dal clero con rispetto, carità e coraggio nel tentativo di proteggerle dalle irruzioni e dalle visite indesiderate. Non ci furono tentativi di sfruttare la tragica situazione con indegne forzature alla conversione.
Tale non fu purtroppo la sorte delle donne e dei bambini ospitati nel monastero del Carmine dove una notte i fascisti, accompagnati dai nazisti, fecero irruzione, maltrattarono e picchiarono donne e bambini e infine li avviarono alla deportazione.
Purtroppo anche il Comitato ebraico-cristiano non si rese conto di quanto fosse pericoloso tenere i propri incontri in un luogo conosciuto, nella sede Acli di via de’ Pucci. A seguito di una spiata fu scoperto ed i suoi membri ebrei arrestati e deportati insieme al Rabbino Cassuto e a sua moglie.
Va quindi ricordato ed evidenziato che a Firenze la Curia, ed in primo luogo il Cardinale Della Costa, offrì rifugio e aiuto alla popolazione ebraica. Un fatto che ebbe una notevole influenza sulla nascita dell’Associazione di Amicizia ebraico- cristiana, prima in Italia nella Firenze del dopoguerra. Una importante spinta dette anche un altro esponente importante della Resistenza, membro del Comitato Nazionale di Liberazione e futuro collaboratore di La Pira, il senatore Eugenio Artom. Subito dopo la guerra egli spinse le parti a cercare la riconciliazione lavorando insieme per il futuro della Repubblica che, secondo le sue parole, va ricostruita in base ai valori del passato risorgimentale, delineando in qualche modo le linee della politica postbellica delle diverse amministrazioni di Firenze.
Firenze, città di Libertà, è un comune autogestito, città del dialogo locale ed internazionale fra culture popoli e religioni, città della riconciliazione, città della bellezza e della pace.
Se a Firenze ed in Toscana un terzo o quarto della popolazione ebraica fu deportata grazie alle liste della polizia fascista e ai delatori, in Toscana e a Firenze, e anche questo mi sento di dover ricordare qui oggi, due terzi della popolazione ebraica, circa 1500 persone, poterono salvarsi grazie all’aiuto dalla popolazione. Spesso semplici persone che sapevano offrire aiuto all’oppresso di qualunque religione fosse, anche a rischio della propria vita.
Anche in questo caso, come con l’aiuto dato ai partigiani, il rapporto umano era trasversale coinvolgendo ceti alti e bassi. Purtroppo erano in minoranza i coraggiosi, ma alla fine sono stati loro a vincere, ed è anche questo che noi vogliamo ricordare e festeggiare oggi: la vittoria del bene sul male tra mille ostacoli e difficoltà.
Non possiamo non ricordare oggi il ruolo del Cardinale Della Costa, di don Letto Casini ed altri esponenti della Curia fiorentina, nell’organizzare e dare ordini di aiutare la sofferente popolazione ebraica proteggendola e salvandola. E a nome di tutti voglio ringraziare oggi tutti coloro che ebbero il coraggio e seppero salvare l’onore dell’umanità e della civiltà e di Firenze. I semplici ma coraggiosi paesani in posti remoti, i meno semplici artigiani della città, le suore dei conventi, che con attenzione e coraggio seppero alleviare le sofferenze dei bambini e delle donne proteggendoli dal male e dal nemico. Sono contento di poter ricordare oggi che lo Yad Vashem d’Israele ha già deciso di onorare il Cardinale Della Costa e probabilmente anche il famoso ciclista Gino Bartali col titolo di Giusto fra le nazioni. Titolo che onora la sensibilità umana di pochi che brillarono nel buio della notte inumana che era scesa sul mondo.
Riconoscere il contributo della popolazione d’origine ebraica alla lotta per la salvezza di Firenze e la sua partecipazione alla liberazione invitando un esponente ufficiale della comunità ebraica a prendere la parola e a dare un saluto in questa manifestazione che ricorda la lotta di Firenze, ma assieme a Firenze di tutto il genere umano per la libertà, è un gesto del Sindaco Renzi e dell’amministrazione comunale di Firenze che riconferma la profonda collaborazione civile e culturale che esiste da più di 69 anni fra la città di Firenze e i sui cittadini di religione ebraica. La cultura del dialogo fra ebrei e cristiani che parte da Firenze subito dopo la guerra e culmina nella formulazione dei principi e nelle dichiarazioni sul dialogo interreligioso del Vaticano II ne è una prova. La buona e positiva collaborazione e amicizia fra tutte le amministrazioni comunali ed i sindaci di Firenze e la comunità ebraica di Firenze ne è un’altra. Sono particolarmente contento che la linea di apertura, di collaborazione, di una rinnovata fiducia e riconciliazione raccomandata da Eugenio Artom e da La Pira, da me e dai vari consigli che si sono succeduti, è stata ultimamente riconfermata con l’apertura del giardino della sinagoga alla cittadinanza, con ricchi programmi di cultura e musica ebraica che hanno già visto questa estate la presenza di migliaia di visitatori.
A nome mio personale, a nome della nostra Presidente Sara Cividalli, nipote di Giorgio Cividalli, a nome di tutto il Consiglio e di tutti gli iscritti della Comunità e dei cittadini di religione ebraica di Firenze, voglio ringraziare per questo invito nella speranza di poter contribuire alla crescita culturale di Firenze, non solo in tempi di lotta e di guerra, ma anche in tempi di vigilanza e di azione culturale e politica per coltivare e mantenere la pace.
Che il D. d’Israele vi benedica.
Rav Joseph Levi, rabbino capo di Firenze
(16 agosto 2013)