impegno…

Nella lunga e tremenda minaccia che la Torah rivolge a chi non serve il Signore, pochi versi di benedizione illuminano la cupezza data dalle gravi conseguenze dell’inosservanza: le benedizioni che spettano a chi serve D.o con tutto se stesso. È evidentemente un invito a distinguere attentamente e a scegliere il proprio campo: se stare con chi Lo serve o con chi non Lo serve. I nostri Maestri si sono posti la domanda – assolutamente logica in un mondo in cui non è detto che tutto sia o bianco o nero – quale sia l’elemento distintivo, la linea di confine fra chi serve e chi non serve il Signore. La risposta è a dir poco sbalorditiva: il Talmud afferma che chi ripete ciò che ha studiato centuna volta ha veramente servito il Creatore, ma se lo ha ripassato solo cento volte non ha compiuto il servizio divino. Che cosa significa? Chi non studia così a fondo non ha fatto nulla? E che ne sarebbe di tutti coloro che solo sporadicamente studiano qualcosa? E di quelli che non sono in grado di studiare Torah? In realtà, ciò che affermano i Maestri è che quello che conta è l’impegno. Se uno si applica alle cose ebraiche con un impegno analogo a quello di chi è disposto a ripetere la stessa cosa con il medesimo interesse anche una sola volta di più degli altri, costui è certamente disposto a servire Ha-Qadòsh Barùkh Hu’ con tutto se stesso; chi si accontenta del livello raggiunto, per alto che sia, pone sempre se stesso al di sopra di qualunque altra cosa.

Elia Richetti, Assemblea rabbinica italiana

(22 agosto 2013)