Qui Padova – Un anno per lasciare il segno

Romanin JacurConfesso che mi appare strano essere qui in una domenica di agosto, ancor calda e vuota di persone, già impegnato a scrivere il messaggio per la più “bassa” Rosh HaShanah che si ricordi. Noi, invece, siamo qui per portare avanti allestimento e organizzazione della Mostra “ Ebraicità al femminile” – otto artiste ebree italiane del Novecento – immaginata e programmata da due anni, per una Giornata della Cultura ebraica che ha cambiato inaspettatamente data e tema.
E’ veramente arduo immaginare un augurio, che abbia qualcosa di originale, in un momento in cui il mondo che ci circonda sta viaggiando ad una velocità superiore al recepibile: si rischia che ciò che diciamo oggi, sia già superato quando sarà letto. Un mondo tormentato da rivoluzioni, repressioni e infelicità; la particolare vicinanza di questi sconvolgimenti ai confini con Israele; la preoccupazione per l’uso di armi non convenzionali e per il risveglio di un afflato di stampo terroristico, in verità mai sopito; la constatazione che la panacea non sia la ricerca di una fantomatica democrazia (fino ad oggi obiettivo imperfetto ma creduto migliore), ma l’uscita da un tribalismo di stampo medievale, sul quale si innestano interessi affatto moderni e che nulla hanno da spartire con le popolazioni; … alzo gli occhi sulle quattro riproduzioni, nel mio studio, della Torre di Babele e penso che siamo sempre lì, che il significato delle allegorie della Bibbia non siano cambiate: e che non cambia il risultato. Restringendo il campo al Paese in cui viviamo, non migliorano troppo le cose, anche se ci limitiamo a battaglie e ricatti verbali; ma anche qui – mentre si allarga il solco tra chi può sopravvivere e continua ad ostentarlo, e chi non ce la fa proprio e torna a provare la fame e le privazioni – si continua ad alimentare la polemica solo di parte; si vuole inventare una Giustizia selettiva, dimenticando un altro insegnamento biblico sull’uguaglianza degli uomini e sui comportamenti dei Re. Anche nel nostro piccolissimo mondo ebraico italiano, continuiamo a dare preferenza alla polemica e alla immagine di se stessi, sottovalutando l’importanza delle cose da fare o da migliorare (è la praticità che spesso l’ebraismo ci insegna).
Allora che dire? Proviamo a non limitarci a scambi di tradizionali auguri di dolcezza, che chiamano in campo mele e miele, legumi e pesci! Proviamo ad imporci che il nostro passare sulla terra, debba lasciare un segno e un ricordo di positività, nella traccia del nostro compito di Popolo, eletto ad essere lume tra le Nazioni e insegnamento verso gli idolatri. Nella deraschah di ieri, il nostro rav ha parlato tra l’altro di fede e libertà: a questi concetti vorrei aggiungere quello di appartenenza (all’Ebraismo); è questo il miglior augurio che mi sento di fare pubblicamente: che nessuno si dimentichi mai di appartenere al Popolo Ebraico ed i doveri che questo comporta!

Davide Romanin Jacur, presidente della Comunità ebraica di Padova

(30 agosto 2013)