Rosh HaShanah 5774 – Donne prigioniere nell’Islam
Qualche tempo fa ho partecipato a un dibattito delle Donne Mediterranee sul ruolo delle donne nei paesi del Mediterraneo (il mio ruolo è stato quello di parlare di Israele). Giunto il momento delle domande dal pubblico, l’oratore egiziana ha dichiarato che si stima che tra l’80 e il 90 per cento delle donne egiziane abbiano subito la mutilazione genitale durante l’infanzia per volontà dei loro genitori. Ha ammesso che questo era accaduto anche a lei. Un’altra donna (italiana) tra il pubblico, ha detto che durante una sua visita estiva al Cairo è rimasta scioccata di sentire ripetute urla, da parte di diverse donne, che echeggiavano nella notte tra le finestre tenute aperte per il caldo.La ragione delle proteste, le fu spiegato, era che a causa della mutilazione genitale i rapporti sessuali erano generalmente molto dolorosi per le donne. I massicci e ripetuti stupri che hanno avuto luogo durante le attuali rivolte sono un ulteriore segno della mancanza di rispetto e della barbara disuguaglianza tra uomini e donne che regnano nella società egiziana. Si potrebbe seriamente mettere in dubbio la possibilità che un sistema democratico basato sui diritti umani e l’uguaglianza possa nascere e fiorire in un paese dove l’amore romantico e l’appagamento come lo conosciamo noi non può assolutamente trovare espressione all’interno o al di fuori della famiglia a causa della frustrazione sia fisica che emotiva, dove i rapporti tra i sessi sono giocoforza rozzi, primitivi e rivolti puramente verso la discutibile soddisfazione dei bisogni dei maschi dominanti. L’attuale ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, è ben consapevole di questa situazione, avendo per molti anni sostenuto una battaglia internazionale contro la mutilazione genitale femminile e in favore dei diritti delle donne, soprattutto in Egitto, dove ha trascorso diversi mesi a studiare la lingua araba. Non so se lei leghi il problema della violenza all’islamismo, ma è attualmente molto allarmata per la situazione in Egitto, vedendola come un possibile punto di non ritorno per l’intera regione. La battaglia per i diritti umani potrebbe sembrare un problema secondario in un momento in cui lo scontro per il potere politico tra e all’interno di ideologie islamiste e delle forze secolari avvampa, minacciando di portare con sé altre migliaia di vite innocenti e di allargarsi all’intera regione in cui Israele si trova quale “l’unica vera democrazia” – e ancora, cosa può essere più importante a lungo termine del nostro impegno ad aiutare a creare un vicinato migliore, più tranquillo per il futuro di Israele e per il futuro di tutta l’umanità che si basi sui valori contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti umani? Sulla base della nostra convinzione che il modo in cui una società tratta le donne, così come le minoranze al suo interno, sia la cartina di tornasole dello stato della sua democrazia, mi chiedo se potrebbe non valere la pena di ricordare queste questioni alla comunità internazionale, anche nel bel mezzo della crisi attuale.
Lisa Palmieri-Billig, American Jewish Committee
Pagine Ebraiche, settembre 2013
(30 agosto 2013)