La crisi delle speranze
Con il Capodanno ebraico ci auguriamo che i prossimi dodici mesi siano buoni e dolci come il miele. Dal punto di vista psicologico è necessaria una dose di speranza, persino di incoscienza, per garantirsi l’entusiasmo necessario per ricominciare. Le vacanze servono proprio a questo, a liberare la testa dalle preoccupazioni e dai problemi concreti, per recuperare uno sguardo più leggero, più ampio, un po’ più ingenuo e positivo.
A tutto questo pensavo ieri guardando “Presadiretta”, il programma di Riccardo Iacona in onda ieri sera su Raitre. Una puntata sulla crisi e sulle sperequazioni crescenti tra ricchi e poveri in Italia. Una distanza moralmente e socialmente sempre più inaccettabile. Ascoltando le persone intervistate colpiva la totale assenza di prospettive e di speranze: l’operaio anziano la cui fabbrica chiuderà per sempre e a cui rimangono poche settimane di cassaintegrazione; il piccolo commerciante che ha perso il negozio e che ora vive nel convento grazie all’aiuto della Caritas; la giovane coppia che non spesso non manda la bimba a scuola perché non sa come riempirle il panino (“Neanche un pomodoro, abbiamo, per companatico!”).
Sono situazioni che conosciamo tutti, frequenti anche nelle Comunità ebraiche italiane, e soprattutto a Roma. Ma vedere una ricostruzione così letterale e quasi asettica fa davvero impressione. Un milione di poveri – e poveri veri! – in Piemonte, a Torino, non in Calabria! Per uscire dalla crisi serve certamente fiducia e anche un pizzico di incoscienza (non a caso in contemporanea Raiuno trasmetteva il concertone di Jovanotti da Salerno concluso con un triplice “Possiamo farcela!”, subito tormentone su Twitter). Ma quest’anno dobbiamo augurarci un anno buono, dolce e più giusto.
Con l’impegno di aiutare altre persone a riguadagnare un po’ di speranza.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(3 settembre 2013)