Qui Venezia – Omaggio a Gitai
Se i red carpet potessero parlare, quest’anno potrebbero svelarci che cosa raccontava George Clooney ai suoi fan con cui si è lungamente intrattenuto, o quante bolle di sapone abbia fatto la madrina Eva Riccobono. Perchè nella giornata di Ana Arabia di Amos Gitai (nell’immagine una scena del film), la settantesima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia va avanti fra barchette a motore, vestiti da principessa e flash di macchine fotografiche, ma soprattutto offrendo interessanti spunti per la presenza di molti esponenti dell’ebraismo cinematografico. Di cui naturalmente Gitai, a cui è stato consegnato il Premio Robert Bresson, è grande protagonista, con un film che racconta una realtà marginale di Israele fra Jaffa e Bat Jam, all’interno della quale convivono in una comunità di reietti ebrei e arabi. Vengono scoperti dalla giovane giornalista Yael, che resta affascinata da un’umanità così diversa e speciale da dare la possibilità di convivere armoniosamente. Da aggiungere alla particolarità il fatto che l’intero film di 81 minuti è girato in una sola sequenza, senza stacchi: ”La ripresa continua e il suo ritmo avvolgono i frammenti di queste figure. È anche una specie di affermazione politica, con cui si commenta che i destini di ebrei e arabi di questa terra non saranno spezzati, non saranno separati”, ha commentato il regista (foto in basso), da sempre autore di film e documentari caratterizzati da un forte impegno politico e sociale.
A William Friedkin è stato invece conferito il prestigioso Leone d’oro alla carriera, ”per aver contribuito ”in maniera rilevante e non sempre riconosciuta nella sua portata rivoluzionaria, a quel profondo rinnovamento del cinema americano, genericamente registrato dalle cronache dell’epoca come la Nuova Hollywood’, come ha scritto Alberto Barbera, direttore della Mostra. ”Venezia, specialmente durante la Mostra, è una casa spirituale per me – ha dichiarato il regista de Il salario della paura (1977), di cui viene presentato il restauro-. Il Leone d’oro alla carriera è qualcosa che non mi sarei mai aspettato, ma sono onorato di accettarlo con gratitudine e amore”.
Nel frattempo James Franco passeggiava sorridente con i suoi grandi occhiali da sole, per presentare in Concorso il film Child of God, di cui è regista, che racconta la storia macabra di un uomo e del suo decadimento in una vita da selvaggio. E poi per godersi nuovamente il successo del documentario del 1980 sulla vita del regista Samuel Fuller intitolato A Fuller Life, di Samantha Fuller, che in un modesto tubino nero l’ha presentato restaurato per la sezione Venezia Classici.
E sempre in concorso invece spiccano i nomi di Jonathan Glazer, con la sua storia fantascientifica Under The Skin, Errol Morris, con The Unknown Known, un ritratto di Donald Rumsfeld, uno dei grandi architetti della guerra in Iraq, Steven Frears con la tormentata storia di Philomena, e Jesse Eisemberg, protagonista di Night Moves di Kelly Reichardt. Per i nostalgici inoltre fra i restauri di Venezia Classici anche due film della regista belga Chantal Akerman, Hotel Monterey (1977) e Samy Szlingerbaum (1973), Il piccolo fuggitivo (1953) di Morris Engel con la fidanzata Ruth Orkin e Ray Ashley, e Trepassing Bergman, un documentario di Jane Magnusson e Hynek Pallas con la testimonianza di Woody Allen, che così in un modo o nell’altro non viene meno alla tradizione di essere presente a Venezia.
E infine, per sorridere un po’ in mezzo a tante proiezioni impegnate, meno male che c’è il cortometraggio della Disney dei disegnatori Paul Radish, Aaron Springer e Clay Morrow, ambientato proprio a Venezia e presentato nella sezione Fuori concorso.
Francesca Matalon
(3 settembre 2013)