Ticketless – Anime in pena
Mi è già capitato di riflettere sulle affinità ebraico-valdesi. Oggi vorrei ritornare sul tema segnalando un romanzo che ho letto in estate: Eliana Bouchard, “La mia unica amica” (Bollati Boringhieri, 2013). Un’amicizia “ritrovata”. Uhlmann, per fortuna, non c’entra. Si discorre di emigrazione, quella dei veneti in Piemonte, meno conosciuta dei meridionali a Torino. La sensibilità verso chi è straniero è il tema di questo romanzo che descrive un intero anno scolastico. Si capisce presto che dal locale delle valli Pellice e Chisone ci si eleva all’universale. Mi sono ritrovato nei ricordi d’infanzia dell’autrice. Nato anch’io in una gelida città alpina, ho trovato l’incipit strepitoso: contiene regole di pura sopravvivenza prima di infilarsi in un letto d’inverno, “perché tutto il corpo concorra a scaldare la tana”. Gli oggetti evocati hanno sempre una loro funzione, a partire dalla scatola di colori Caran d’Ache, su cui ruota la vicenda, e dalle lenti brunite, costruite in casa per affrontare l’eclissi del 1961 (nell’Israele delle Alpi, come nell’Israele italiano, un evento sconvolgente almeno quanto lo sbarco dell’uomo sulla Luna). Soprattutto qui va ricordato ai collezionisti di souvenis ebraici un oggetto che dovrebbe figurare in ogni museo diasporico e scolastico: le formule matematiche (o le date delle guerre persiane) arrotolate in microscopici foglietti “secondo la foggia del doppio rotolo della Torah” (p. 195) per consentire un rapido ripasso.
Nella classe di Bouchard solo la bambina “straniera” ha un nome, Stella: gli altri hanno un epiteto ironicamente omerico. La pertica, il bambino senza esse, il bambino dalle orecchie bordate di rosso, il figlio del cancelliere. Mi ha colpito l’alunna che va sotto il nome di “Anima in pena”, perché le sue caratteristiche psicologiche mi sembrano ebraiche. Posso sbagliare, ma la corrispondenza è biunivoca. Leggendo il romanzo mi è ritornata in mente una mia compagna di liceo, che era valdese. Insieme uscivamo di classe durante l’ora di religione, portando a spasso per i corridoi della scuola la nostra anima malinconicamente in pena, con stupore del pargolo del segretario locale del PCI, la cui anima non avrebbe dovuto mai essere in pena (e forse invece lo era). Di questo romanzo appassionante consiglio la lettura alla vigilia di un nuovo anno scolastico, ma anche per una seconda ragione, più importante: questo libro ci ricorda che senza le lenti brunite delle anime in pena non si può guardare in faccia la realtà odierna.
Alberto Cavaglion
(4 settembre 2013)