Nugae – Cose leggere e vaganti
Non si può essere sempre in umore da Catullo. Con tutte quelle sue bagatelle, per carità, sa essere simpatico, ma a volte è inopportuno. In certe occasioni, per lo stesso motivo per cui Bridget Jones indossa un pigiama inquietante e canta ‘aaall byyy myseeelf’ buttata su un divano, in ‘lunghe giornate d’affanno che senza lotta e senza pace vanno’ si preferisce la compagnia di uno come Umberto Saba. Perchè qualche volta si ha voglia solo di una cosa, l’autocommiserazione. Una pratica semplice e diffusa, che crea un po’ di assuefazione, e consiste nel dedicare un po’ di tempo all’abbandono di se stessi e compiangersi per qualunque inezia, per poi tornare più splendenti che mai alla vita vera. Ovviamente va fatto con criterio: ci vogliono una tisana a qualche gusto strano (sì, anche d’estate), una maglietta orribile e un pizzico di tendenza al melodramma, e poi qualunque forma di intrattenimento che possa assecondare per affinità la propria misera condizione, quindi rigorosamente niente cose allegre e leggere. E Saba si presta meravigliosamente con la sua ‘sottile malinconia, che dalle cose in ogni vita s’insinua, e fa umili i sogni dell’uomo che il suo mondo ha nel suo cuore’. Ci si può disperare in un caldo pomeriggio per il lavoro di un poeta che ha passato tutta la sua esistenza a modificare e cercare di classificare quei suoi lavori, così numerosi, minuti e minuziosi, per capire il posto che avrebbero preso in quell’opera globale che doveva riassumere il senso della sua vita, ma nonostante tutto lo sforzo non ci è riuscito. Perchè evidentemente è impossibile, in ogni cosa ci devono sempre essere Tre poesie fuori posto. E notare come fosse in grado si far rinascere in modo straordinario parole e ritmi altisonanti in quadretti moderni e comuni, nitidissimi e riconoscibili, ma allo stesso così tormentato da quelle nevrosi che fanno sempre capolino fra le righe e nella vita di tutti. Una mano per la risalita? Ecco forse no, ma intanto almeno è un po’ meno trash di Céline Dion. E poi, quando meno ce lo si aspetta, mentre sta per finire la tisana, sfogliando ci si ritrova di nuovo in mezzo ‘alla schiuma, alla marina schiuma che sull’onde biancheggia, a quella scia ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde; anche alle nubi, insensibili nubi che si fanno e disfanno in chiaro cielo; e ad altre cose leggere e vaganti’.
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche twitter @MatalonF
(8 settembre 2013)