Kippur…

Nel libro di Giona, che leggeremo nel pomeriggio di Kippùr, si racconta che agli abitanti spregiudicati della grande Ninive sono state sufficienti cinque parole del nostro Profeta per pentirsi di tutto il male compiuto. La proclamazione di un pubblico digiuno da parte del sovrano vede coinvolta tutta la popolazione dai grandi ai piccoli, dai notabili alle persone più semplici. Un gesto eclatante di fronte al quale l’Eterno non rimane indifferente tanto da condonare tutte le colpe e concedere il perdono ai Niniviti. E’ riscontrabile, tuttavia, una qualche differenza tra la Teshuvah sofferta ed elaborata di Giona e del suo popolo e quella un po’ troppo rapida e semplice degli abitanti di Ninive. E’ la stessa differenza che esiste tra la parola tzòm, digiuno, usata per i Niniviti (Yonah, 3; 5), equivalente ad una mera astensione dal cibo, e l’imperativo della Torah a proposito del Kippùr “veinnitém et nafshotechém” “e affligerete le vostre persone” (Vaykrà,23;27) che indica un’afflizione, e non solo in senso fisico.
Il digiuno vale se non è un’irriverente commedia, una vana astensione dal cibo e nient’altro.
I Maestri del Talmud Yerushalmi (Taanit, 2; 1) hanno qualche dubbio sulla sincerità della Teshuvah dei Niniviti. E’ il versetto: “ed invocarono il Signore con forza”(Yonah, 3; 8), cioè con forzatura, che li spinge a sospettare una messinscena nella troppo rapida metamorfosi di Ninive, attuata con atti smisurati e sostanzialmente scenografici. Forse fu proprio questo che sconcertò ed irritò il nostro Giona che deve essersi chiesto: perchè per gli altri è tutto così semplice?

Roberto Della Rocca, rabbino

(10 settembre 2013)