La teshuvà di un leader
Ogni anno a Kippur leggiamo il libro di Giona e ogni volta può capitare, anche grazie ai commenti, di scoprire qualcosa di interessante che finora ci era sfuggito. Per esempio, è curioso notare che quando il profeta Giona arriva ad annunciare che la città di Ninive sarà distrutta (ma la parola può anche significare “rovesciata” e prevedere quindi correttamente il radicale capovolgimento nei comportamenti che di lì a poco si verificherà), il movimento di presa di coscienza e di ravvedimento parte dal basso, dal popolo in tutte le sue classi sociali, e raggiunge il re solo in un secondo tempo (“E gli abitanti di Ninive ebbero fede nel Signore e proclamarono il digiuno e si vestirono di sacchi dal più grande al più piccolo. E giunse la notizia al re di Ninive…”). Senza una presa di coscienza delle proprie responsabilità da parte dell’intera popolazione è difficile che si possa sperare in una leadership onesta. Il re di Ninive, che si decide alla teshuvà solo quando gli viene riferito cosa stava facendo il suo popolo, era certamente un personaggio ben poco raccomandabile (è stato identificato con vari re malvagi e addirittura con lo stesso Faraone dell’uscita dall’Egitto), e anche l’ordine di pentirsi e digiunare (cosa che peraltro i sudditi stavano già facendo) suona un po’ ambiguo, sembra più un capriccio personale che una vera assunzione di responsabilità (con un curioso gioco di parole che suona più o meno: “è gusto del re che uomini e animali non gustino nulla”). Però di una cosa gli va dato atto: non solo è subito pronto a condividere la medesima penitenza del suo popolo vestendosi di sacco e sedendo sulla cenere come tutti gli altri cittadini di Ninive, ma, soprattutto, le sue prime azioni sono alzarsi dal trono e togliersi il mantello regale: gesti che indicano simbolicamente la disponibilità a mettere in discussione la sua stessa carica. Per sottolineare questa simbolica rinuncia al potere qualcuno traduce “discese dal trono”, ma forse l’originale ebraico “si alzò” focalizza la nostra attenzione non tanto sull’umiliazione personale quanto sul seggio che è stato lasciato libero. E se la sua leadership era stata una discesa, il suo gesto è l’inizio di una risalita, per lui e per il suo popolo.
Chatimà tovà a tutti
Anna Segre
(13 settembre 2013)